Kamala Harris vede queste elezioni in modo molto diverso da Joe Biden. Nel 2020 e poi nel 2024 Biden ha ceduto i riflettori a Donald Trump. Per tattica o a causa dei suoi limiti, in entrambe le campagne elettorali non ha voluto attirare l’attenzione, lasciando che il suo avversario fosse al centro delle notizie. Nel 2020, quando Trump era presidente e aveva un indice di popolarità basso, quella strategia funzionò. Ma con l’avvio della campagna elettorale del 2024, quando era Biden il presidente impopolare, la dinamica si è ribaltata: la sua età e i suoi passi falsi hanno continuato ad attirare più interesse di Trump e della sua palese inadeguatezza.

Poi sono arrivati il dibattito televisivo di fine giugno e la decisione di farsi da parte e di lasciare il testimone a Kamala Harris. La vicepresidente ha fatto quello che Biden non aveva voluto fare o non era stato capace di fare: ha combattuto, e vinto, la battaglia per l’attenzione. È chiaro che ha ricevuto aiuti importanti, per esempio dagli utenti online, che hanno cominciato a usare i suoi interventi per produrre contenuti virali.

Ma gran parte del successo di Harris è dovuto al calcolo e al talento. Era dai tempi di Barack Obama che un politico non bucava così il video. Anche se la sua campagna elettorale è gestita soprattutto dai collaboratori dell’attuale presidente, il tono è cambiato. Quello grave e stentoreo dei comunicati di Biden ha lasciato il passo a uno allegro, beffardo, sicuro e perfino cattivo: Trump è “vecchio” e “debole”, mentre il suo eventuale vice, J.D. Vance, è “inquietante”. La candidata democratica vuole che si parli di lei e sa come riuscirci. La strategia di comunicazione di Biden era pensata per ingigantire la figura di Trump. Quella di Harris, invece, punta a rimpicciolirlo. “Questi tizi sono parecchio strambi”, ha dichiarato Tim Walz, candidato democratico alla vicepresidenza, durante il programma Morning Joe. L’aggettivo ha preso immediatamente piede.

Walz ha stravolto il modo in cui i democratici parlano di Trump: invece di insistere sulla minaccia dell’uomo forte, oggi vogliono farlo apparire più debole. Biden sosteneva che Trump fosse un pericolo per la democrazia statunitense. Walz, invece, dice agli americani che Trump gli rovinerà il giorno del ringraziamento.

Spalle al muro

Ci sono molti motivi per cui Harris ha scelto Walz, a cominciare dall’ottima intesa che ha con lui. Ma la ragione principale è la capacità di Walz di fare esattamente quello che Harris gli chiede di fare: dettare i termini del dibattito politico. Di solito vince le elezioni il candidato che capisce meglio dove va l’attenzione. Franklin Roosevelt sapeva usare la radio, a differenza del suo sfidante Herbert Hoover; John F. Kennedy colse il potere della televisione, al contrario di Richard Nixon. Obama cavalcò la prima ondata dei social media, mentre Trump ha padroneggiato l’era degli algoritmi, in cui la rabbia e le polemiche online creano coinvolgimento.

Oggi le piattaforme sono cambiate ancora e inseguono TikTok, in un ambiente invaso dai meme, dalle clip e dai remix. In questo contesto Biden sembrava un pesce fuor d’acqua. Invece, per motivi diversi, Harris e Walz sono in grado di usare i nuovi social media. Dopo che la cantante britannica Charli XCX ha definito Harris brat (una parola che si potrebbe tradurre con “ragazzaccia”, ed è il titolo del suo ultimo disco), i collaboratori della vicepresidente hanno usato sui profili social il colore verde acido e il font minuscolo che si vede nella copertina dell’album di Charli XCX. Nel suo primo discorso da candidato, Walz ha accennato ai meme (sì, infondati) sulla presunta passione sessuale di J.D. Vance per i divani. È stato un segnale chiaro del nuovo corso, un ammiccamento all’esercito online che sostiene la campagna elettorale democratica. Questa linea può essere controproducente. Per un movimento politico dotato di un’energia caotica è facile confondere la sezione dei commenti con le opinioni degli elettori.

Dal punto di vista delle posizioni politiche, Harris e Walz sembrano muoversi con cautela. La spinta verso sinistra del 2020, in un periodo in cui si facevano pressioni per uno sfoggio di purezza distruttivo a livello politico, ha ceduto il posto a uno spietato pragmatismo. Nel 2020 Kamala is a cop (Kamala è una poliziotta) era un insulto, mentre oggi è qualcosa di più simile a uno slogan.

Le pressioni per spostare Harris a sinistra si sono ridotte e tutto il partito accetta il suo tentativo di conquistare gli elettori moderati. Nel giro di pochi giorni la vicepresidente ha rinnegato il suo impegno contro il fracking, il sostegno all’assistenza sanitaria universale e le proposte per ridurre i fondi della polizia. Uno spot elettorale la presenta come “una procuratrice di frontiera”, che ha mandato in carcere tanti trafficanti di esseri umani e che promette di assumere migliaia di nuovi agenti. Lo spot si conclude con la frase: “Risolvere i problemi al confine è dura. Ma anche Kamala è una dura”.

Quindi Trump si ritrova senza la cosa che ama di più, l’attenzione. Questo lo porta a comportarsi in modo sempre più folle e autodistruttivo, per esempio sostenendo che Harris non è veramente nera e che Biden ha cambiato idea e vuole riprendersi la nomination. Con le spalle al muro, ha cambiato idea sui dibattiti tv e ha accettato di sfidare Harris. Due mesi fa aveva il pieno controllo dell’attenzione del paese, ma ora fatica a farsi sentire. ◆ as

Ezra Klein è un giornalista statunitense. È stato tra i fondatori di Vox. È un editorialista del New York Times e conduce il podcast The Ezra Klein show.

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Questo articolo è uscito sul numero 1577 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati