Negli ultimi dieci mesi la guerra in Etiopia ha provocato già troppi morti. I combattimenti si sono estesi oltre i confini del Tigrai, toccando le regioni Amhara e Afar, e una soluzione del conflitto sembra ancora lontana. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che potrebbe favorire il superamento della crisi, è profondamente diviso e questa è una pessima notizia per gli etiopi.
Gli Stati Uniti e i paesi europei chiedono la fine delle ostilità, un cessate il fuoco negoziato e un dialogo politico inclusivo che porti a un futuro pacifico. Accusano il governo federale di Addis Abeba di aver bloccato gli aiuti diretti in Tigrai, di aver ostacolato gli operatori umanitari e di aver interrotto le telecomunicazioni, i trasporti, l’elettricità, i servizi bancari e altre infrastrutture vitali. Criticano, invece, le forze tigrine per aver portato la guerra nelle regioni vicine e sollecitano il loro ritiro. Chiedono inoltre alle truppe eritree e alle milizie amhara di lasciare il Tigrai.
Cina, India e Russia, dal canto loro, considerano il conflitto una questione interna all’Etiopia e vogliono evitare interferenze. Invocano sì la fine del conflitto, ma sostengono che gli etiopi dovrebbero superare da soli le divisioni. A loro avviso, i governi stranieri dovrebbero rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica del paese. Questo gruppo è contrario alle sanzioni come strumento per costringere le parti a sedersi a un tavolo. È invece favorevole alla diplomazia bilaterale e alle discussioni a porte chiuse. L’India, in particolare, ha accusato le forze tigrine di aver prolungato il conflitto e bloccato gli aiuti umanitari.
Infine c’è un terzo blocco, formato da Kenya, Niger, Tunisia e Saint Vincent e Grenadine, che il 26 agosto in sede di consiglio ha fatto una dichiarazione collettiva, sostenendo che i meccanismi di risoluzione dei conflitti discussi fino a quel momento erano inadeguati, che la guerra è di natura etnica ed è il frutto di uno scontro tra visioni diverse del futuro del paese. Il gruppo non attribuisce colpe ma sollecita tutte le parti a raggiungere un accordo. La richiesta principale è rivolta al governo etiope: dovrebbe togliere il Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) e l’Esercito di liberazione oromo (Ola) dalla lista dei gruppi terroristici. Senza questo passaggio, osservano i quattro autori della dichiarazione, una soluzione negoziata del conflitto è insostenibile.
Un’opportunità mancata
Le divisioni interne al Consiglio di sicurezza dell’Onu fanno gioco al governo federale etiope e ai suoi sostenitori. Gran parte dei mezzi d’informazione locali è immensamente grato a Cina, India e Russia. Ai numerosi raduni organizzati in Etiopia appaiono cartelli che esprimono ammirazione per questi tre paesi e che insultano gli Stati Uniti e l’Europa. Con grande disappunto, però, le parti in conflitto scopriranno che le divisioni nel Consiglio di sicurezza causano più danni che benefici.
In primo luogo, è possibile che la comunità internazionale resti a guardare mentre l’Etiopia si distrugge da sola, com’è successo in Siria. In secondo luogo le sanzioni bilaterali potrebbero erodere importanti fonti di denaro dall’estero: per esempio, gli Stati Uniti potrebbero togliere l’Etiopia dalla lista dei paesi che godono dei vantaggi commerciali previsti dall’African growth and opportunity act. Non si possono escludere nemmeno sanzioni contro la compagnia aerea nazionale o le transazioni bancarie internazionali. In terzo luogo, se la crisi umanitaria dovesse peggiorare, non sono da escludere un intervento militare e un cambiamento di regime.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe quindi evitare uno stallo prolungato e trovare un punto d’incontro. Potrebbe sostenere le raccomandazioni del terzo gruppo, e se necessario approvare una risoluzione. Per le parti in conflitto sarebbe un punto di partenza per i negoziati, che potrebbero essere mediati dall’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, il nuovo rappresentante speciale dell’Unione africana per il Corno d’Africa. Dopo tutto sarebbe una proposta africana per risolvere un problema africano. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati