L’accordo approvato il 13 dicembre alla conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop28) negli Emirati Arabi Uniti è un’intesa storica che porterà alla fine dei combustibili fossili? O è solo l’ennesimo passo sulla strada verso l’inferno? Nel mondo delle trattative sul clima una cosa non esclude l’altra.
Il testo invita per la prima volta i paesi a “contribuire alla transizione” verso l’uscita dai combustibili fossili, ma non può costringerli ad agire. Inoltre, come hanno sottolineato i piccoli stati insulari più esposti alle conseguenze della crisi climatica, contiene una serie di scappatoie che ostacoleranno il percorso del pianeta verso la riduzione drastica delle emissioni di gas serra necessaria per limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
L’accordo presenta molti problemi. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di finanziamenti da centinaia di miliardi per abbandonare il carbone, il petrolio e il gas, mentre quelli sviluppati e produttori di petrolio non saranno costretti a procedere con la rapidità che secondo gli scienziati serve per raggiungere gli obiettivi. Gli Stati Uniti ripartono dalla Cop28 senza troppe preoccupazioni, dopo aver promesso appena venti milioni di dollari in più per i paesi poveri e aver mantenuto inalterata la loro posizione di primo produttore mondiale di petrolio e gas. La Cina continuerà ad aumentare la produzione di carbone parallelamente alla crescita delle energie rinnovabili. Anche l’industria indiana del carbone avrà poco da temere.
Ma per quanto l’accordo sia imperfetto, i paesi produttori di petrolio l’hanno comunque osteggiato ferocemente. L’Arabia Saudita ha cercato di rimuovere ogni allusione ai combustibili fossili e ha provato a inserire riferimenti alla cattura e al sequestro di carbonio, una tecnologia che dice di amare ma su cui stranamente non investe. La Russia ha agito dietro le quinte per ostacolare il progresso delle trattative e si prepara a farlo con più decisione nel 2024, quando la Cop si terrà a Baku, capitale dell’Azerbaigian. La sensazione generale è che l’accordo rappresenti un progresso significativo per i paesi che vogliono combattere la crisi climatica. Il mondo deve interpretarlo come il segnale della fine dell’epoca dei combustibili fossili, prima che le porte dell’inferno si chiudano alle nostre spalle. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati