Rispetto a venti o trent’anni fa alcuni fiori selvatici sono meno attraenti per gli insetti impollinatori, perché sono più piccoli e producono meno nettare. È la conclusione di uno studio che ha analizzato un piccolo fiore, la viola dei campi (Viola arvensis). Secondo gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista New Phytologist, se il fenomeno fosse comune ad altre specie potrebbe innescare un circolo vizioso. Il rischio è quello di un’accelerazione del declino degli impollinatori, che a sua volta è la causa dell’adattamento dei vegetali.
Nel 2021 i ricercatori dell’università di Montpellier hanno raccolto alcune viole nei campi di grano e hanno “resuscitato” esemplari della stessa specie a partire da semi raccolti negli anni novanta e duemila. Per evitare alterazioni legate al clima o al suolo, in un primo tempo hanno coltivato i semi in un campo sperimentale in modo da produrre altri semi a partire da piante cresciute in condizioni omogenee. Poi li hanno ripiantati e hanno coltivato le piante in serra, esaminandone i fiori.
Risultato: le viole sbocciate dai semi attuali sono risultate più piccole (di circa il 10 per cento) rispetto a quelle prodotte da semi raccolti venti o trent’anni fa. Inoltre contenevano il 20 per cento di nettare in meno, risultando meno attraenti per gli insetti. Rispetto ai fiori prodotti da semi più antichi, quelli attuali hanno ricevuto il 20 per cento in meno di “visite” degli impollinatori. “Siamo rimasti sorpresi da un’evoluzione così rapida”, ammette Samson Acoca-Pidolle, uno degli autori dello studio. “È come se l’alleanza ancestrale tra i fiori e gli impollinatori si stesse rompendo”.
Le angiosperme, che oggi rappresentano più del 90 per cento delle specie vegetali sulla Terra, devono il loro successo evolutivo al patto che hanno stretto decine di milioni di anni fa con questi preziosi partner. In cambio del loro nettare, le piante ottengono il trasporto del polline da un fiore all’altro, che consente la fecondazione incrociata e favorisce la diversità genetica e quindi l’evoluzione.
Un’alternativa costosa
Il declino degli impollinatori, dovuto all’uso dei pesticidi e ai cambiamenti ambientali, rende più difficile questa modalità riproduttiva, ma le piante hanno un asso nella manica: l’autofecondazione. La maggior parte dei fiori, infatti, è bisessuale, cioè possiede sia gli organi maschili (gli stami) sia quelli femminili (pistilli). In mancanza di impollinatori, il polline può fecondare l’ovulo dello stesso fiore. Le analisi genetiche suggeriscono che le viole di campo stanno adottando più spesso questa strategia. Il tasso di autofecondazione è arrivato all’80 per cento, contro il 55 per cento di vent’anni fa.
A breve termine l’autofecondazione è una soluzione alternativa, ma il costo è una riduzione della diversità genetica. “In questo modo le piante selvatiche avranno più difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti ambientali del futuro”, a cominciare da quelli climatici, sottolinea Pierre-Olivier Cheptou, coordinatore dello studio.
È possibile che questo fenomeno rappresenti una forma di adattamento al declino degli impollinatori, già largamente documentato? Uno studio ha dimostrato che all’interno delle aree protette tedesche negli ultimi trent’anni è scomparso oltre il 75 per cento della biomassa di insetti volanti. Questo dato non è stato confermato dalla ricerca francese, ma nel 2011 “uno studio ha rivelato che l’assenza totale di impollinatori per cinque generazioni aveva prodotto un fenomeno simile in un’altra pianta selvatica, il mimolo giallo”, spiega Cheptou.
La viola dei campi è una pianta messicola, ovvero cresce tra i campi coltivati, e attirando gli impollinatori aiuta le colture. Questa dinamica potrebbe essere compromessa. A sua volta, l’adattamento della piante danneggia gli impollinatori, privandoli di una risorsa alimentare e creando una minaccia ulteriore per la loro sopravvivenza. “Gli effetti della perdita di impollinatori non sono facilmente reversibili, perché le piante hanno già cominciato ad adattarsi a questo declino”, sottolinea Acoca-Pidolle. “Per questo bisogna fermare al più presto la scomparsa degli impollinatori”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati