Il titolo dice già molto. Dove finisce, e comincia, la nostra identità di esseri umani? Patrice Killoffer, tra i principali esponenti del fumetto d’avanguardia francese, indaga il rapporto tra un essere umano e un’entità artificiale, un robot domestico. Ma più si va avanti in questa narrazione priva di testi, e più sorgono i dubbi sulla nozione di artificiale. Si delinea, infatti, un animismo disseccato della sua forma spirituale e ricondotto a un’osservazione dei comportamenti, che poi torna a una dimensione propria all’interiorità. La solitudine evidente, il senso delle relazioni sono interrogate in chiave leggermente umoristica e soprattutto surreale, o surrealista tout court. Grande il lavoro sulla profondità di campo e sul segno grafico, di una sensualità che fa da contrappunto al tema, a priori asettico. A tratti, il segno si fa quasi liquido, come quando le immagini di un catalogo di creature artificiali richiamano quelle dei bestiari medioevali. Una confusione voluta. Perché a un certo punto tutto si annulla e i livelli dell’umano e dell’artificiale diventano indistinguibili, come già nel cinema di David Cronenberg (la “tecnologicizzazione dei corpi e corporeizzazione della tecnica”, ha scritto Gianni Canova). Killoffer rappresenta sempre se stesso (come già in 676 apparizioni, graphic novel di grande formato). Ma se il suo resta una sorta di egocentrismo umile, bonario e alla mano, è ormai mutante. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati