Una notizia terribile: altri 27 prigionieri sono morti nei tunnel del male; alcuni di malattie e ferite non curate, altri a causa dei pestaggi e delle orrende condizioni in cui si trovavano. Per mesi sono stati tenuti in gabbie, bendati e ammanettati, 24 ore al giorno. Alcuni erano anziani. Uno era invalido e, secondo i racconti dei testimoni, anche quando è cominciata l’agonia della morte non ha ricevuto cure mediche. I rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa non hanno potuto visitarli neppure una volta, e i sequestratori non hanno reso noti i loro nomi, così che le famiglie potessero essere informate. I familiari non sanno nulla; forse hanno perso la speranza. Il numero esatto delle persone detenute è sconosciuto; i carcerieri non forniscono informazioni. Si stima che siano tra i 1.000 e i 1.500, se non di più. Di questi, 27 sono deceduti, e non saranno gli ultimi a morire nelle loro gabbie.
Nessuno manifesta per chiedere la loro liberazione; il mondo non mostra alcun interesse. Vivono in condizioni disumane, e la loro sorte è considerata irrilevante. Sono i prigionieri di Gaza, nelle mani dell’esercito israeliano da quando è cominciata la guerra. Alcuni sono innocenti, altri sono dei terroristi. La giornalista israeliana Hagar Shezaf, che ha rivelato la morte di queste persone, ha raccontato che molte si trovano nella base militare di Sde Teiman, dove i soldati le picchiano e le maltrattano sistematicamente. Centinaia di palestinesi della Striscia di Gaza, che lavoravano in Israele con l’apposito permesso, sono stati arrestati il 7 ottobre senza alcuna ragione e da allora sono tenuti dietro le sbarre.
Una volta tremava la terra quando un detenuto palestinese moriva in prigione. Ora ne sono morti 27 – la maggior parte, se non tutti, a causa d’Israele – e non succede nulla. Nessuno sarà processato
Lunedì 9 ottobre, due giorni dopo il massacro, ho visto una di queste persone nel cortile di un centro comunitario a Sderot, nel sud d’Israele, che era stato trasformato in una postazione militare: un uomo molto anziano era seduto su uno sgabello dove tutti potevano vederlo, con i polsi legati da una fascetta di plastica e gli occhi bendati. Non dimenticherò mai quella scena. Era un operaio. Ora potrebbe essere ancora in manette, o potrebbe essere deceduto.
La notizia di queste morti, di questo massacro in carcere, non ha suscitato nessun interesse in Israele. Una volta tremava la terra quando un detenuto palestinese moriva in prigione; ora ne sono morti 27 – la maggior parte, se non tutti, a causa d’Israele – e non succede nulla. Ogni decesso in cella solleva il sospetto che si tratti di un crimine, ma quello di 27 detenuti fa pensare che si tratti di una scelta politica. Nessuno, ovviamente, verrà processato per quello che è successo.
Questo avrebbe dovuto preoccupare gli israeliani anche per la sorte dei loro stessi prigionieri. Cosa faranno i carcerieri di Hamas quando sapranno come vengono trattati i loro compagni e connazionali? Le famiglie degli ostaggi israeliani avrebbero dovuto essere le prime a condannare il modo in cui sono trattati i prigionieri palestinesi, almeno per il timore legato alla sorte dei loro cari, se non per la consapevolezza che uno stato che tratta i detenuti in questo modo ha perso la base morale per chiedere che i propri cittadini sequestrati siano trattati umanamente.
Gli israeliani si sarebbero dovuti scandalizzare anche per altri motivi. Non c’è democrazia quando decine di detenuti muoiono in carcere. Non c’è democrazia quando lo stato trattiene delle persone per 75 giorni senza portarle davanti a un giudice e nega le cure mediche ai malati e ai feriti, perfino quando stanno morendo. Solo i regimi più retrogradi tengono le persone ammanettate e bendate per mesi, e Israele comincia in modo sempre più allarmante a somigliare a quei regimi. E poi non c’è democrazia se si fa tutto questo senza trasparenza, senza dare informazioni sui detenuti sotto custodia.
Scandalizzarsi per la crudeltà di Hamas, denunciare le sue azioni al mondo intero e definire mostruosa la sua gente è molto comodo. Nulla di tutto questo, però, dà a Israele il diritto di comportarsi in maniera identica. Quando mesi fa in un’intervista ho dichiarato che il modo in cui Israele trattava i prigionieri palestinesi non era migliore di quello in cui i terroristi trattavano i nostri, e forse era anche peggiore, sono stato travolto dalle critiche e licenziato dal programma più illuminato della televisione israeliana. Dopo l’articolo di Shezaf, il quadro è ancora più chiaro: noi israeliani siamo diventati come Hamas. ◆ fdl
Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.
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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati