Un’attivista canadese entra alla National gallery di Londra con un coltello nascosto sotto al cappotto. Si avvicina alla Venere Rokeby di Diego Velázquez e squarcia la tela. È il marzo del 1914 e l’attivista, Mary Richardson, è una delle suffragette che si battono per il diritto di voto alle donne.
La stampa britannica dell’epoca raccontava indignata le loro azioni, che andavano dal tranciare i cavi del telegrafo al minacciare fisicamente Winston Churchill.
Ne ha parlato sul Times Literary Supplement la filosofa Regina Rini, che insegna all’università di Toronto, in Canada. Dal punto di vista morale, “le suffragette erano dalla parte giusta della storia” e le loro azioni erano pensate proprio per disturbare.
Veniamo ai giorni nostri, ai gruppi ambientalisti che bloccano il traffico o si incollano alle cornici delle opere d’arte.
“Non c’è modo migliore per far infuriare le persone che aumentare il traffico. Immagino come ci si senta a essere bloccati in un ingorgo. Tuttavia, dobbiamo essere onesti con noi stessi”, scrive Rini: anche gli ambientalisti sono dalla parte giusta della storia, e hanno ragione nel dire che è necessario qualcosa di più di una critica moderata e rispettabile per cambiare le cose. Perché non è plausibile dirgli di farsi da parte e aspettare che il problema sia risolto in un altro modo: “Tutte le prove disponibili dicono che non lo faremo”.
Alle persone che nel 2123 sfoglieranno gli ebook di storia, questi ambientalisti sembreranno un gruppo di attivisti radicali che usava tattiche spettacolari e a volte assurde per costringere la maggioranza immobile ad ammettere che le cose non potevano andare avanti così.
Tutti noi che non partecipiamo a queste azioni, dice Rini, siamo spettatori della storia: “Potrebbe sembrare che io stia rimproverando chi trova questi attivisti insopportabili. Ma non è così. Anzi, la nostra rabbia attira l’attenzione dei mezzi d’informazione sul messaggio”. Quindi se i governi faranno finalmente qualcosa “sarà in (piccola) parte perché ci siamo arrabbiati per quei 45 minuti di traffico in più”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 3. Compra questo numero | Abbonati