L’antropologo statunitense James C. Scott (1936-2024) ha cercato di mostrare come tante cose che diamo per scontate (per esempio la rappresentazione dello spazio in una carta geografica o la standardizzazione dei nomi) non sono fenomeni costanti e naturali, bensì legati all’affermazione degli stati e al dominio delle élite urbane sulle popolazioni che abitavano le campagne. Secondo Scott quest’affermazione non è stata un fenomeno indolore, ma violento, e ha determinato strategie di resistenza, facendo sviluppare ai contadini “un’arte di non essere governati” (come recita il titolo di un altro suo libro pubblicato da Einaudi nel 2020) fatta di rivolte, dissimulazioni e tentativi di sfuggire alla presa dei nuovi poteri. In questo saggio, che costituisce un’ottima introduzione alle sue ricerche, riprende molti temi importanti: i modi in cui i contadini cercano di resistere attraverso forme specifiche di religiosità, “invertendo” le credenze che gli sono imposte o sviluppando fedi sincretistiche; il fatto che queste religioni sono spesso alla base dei movimenti politici; le reazioni contadine a una delle forme più pesanti d’intervento dello stato, la tassazione. Confrontando esempi tratti dal suo terreno favorito (il sudest asiatico) con il passato dell’Europa, Scott ricostruisce così una storia che per la sua stessa natura ha lasciato poche tracce negli archivi. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati