Il congresso del Partito comunista cinese che si è appena concluso sembra aver sancito una vittoria totale per il presidente Xi Jinping. Xi ha ottenuto un inedito terzo mandato come capo del partito (e di conseguenza del paese), ha estromesso i potenziali rivali e promosso personaggi a lui vicini. Molti analisti lo hanno definito il leader più potente dai tempi di Mao Zedong, che ha governato dal 1949 al 1976. Effettivamente Xi sembra aver ottenuto quasi tutto quello che desiderava. Ma gli eventi dei giorni scorsi riflettono una strategia che potrebbe rivelarsi sbagliata: essere al centro di tutto lo fa sembrare forte, ma in realtà è vulnerabile.

Il 23 ottobre Xi Jinping ha messo in mostra tutto il suo potere presentando il comitato permanente dell’ufficio politico, il circolo ristretto di sette persone che prende le decisioni più importanti. Il congresso si era chiuso il giorno precedente, ma questo è il momento più emozionante del sistema politico cinese. In quanto leader supremo, Xi è salito per primo sul palco. Poi è toccato agli altri, in ordine d’importanza. Li Qiang, segretario del partito a Shanghai, è apparso subito dopo Xi. Significa che con ogni probabilità sarà nominato primo ministro la prossima primavera. A 63 anni, Li Qiang ha ottenuto l’incarico nonostante la gestione del lungo lockdown nella megalopoli. Anzi, è probabile che sia stata proprio questa esperienza a favorirlo, offrendogli la possibilità di mostrare la sua fedeltà alla strategia voluta da Xi. Un’altra figura degna di nota è Wang Huning, 67 anni, senza alcuna esperienza amministrativa, che ha scalato le gerarchie grazie alla sua capacità nel definire l’ideologia del partito, una dote che Xi apprezza particolarmente.

Gli altri quattro membri del prossimo comitato permanente hanno tutti legami professionali o personali con Xi. È una cosa normale negli stati autoritari, ma non nella storia recente della Cina. I comitati permanenti degli ultimi decenni hanno quasi sempre ospitato figure che rappresentavano una visione alternativa del paese. In questo invece sembra proprio che Xi abbia voluto stravincere. È riuscito a emarginare funzionari che non gli erano particolarmente graditi, compresi il premier uscente Li Keqiang e l’ex governatore del Guangdong, Wang Yang. Entrambi facevano parte del comitato precedente ed erano considerati più aperti alle riforme rispetto al capo supremo. Entrambi sono stati estromessi nonostante non abbiano ancora 68 anni, l’età che comporta ufficiosamente il ritiro dalla vita pubblica.

In un certo senso il trionfo di Xi era risultato evidente già il 22 ottobre, quando l’ex presidente Hu Jintao è stato allontanato dal palco senza tante cerimonie. Secondo alcuni l’episodio fa parte di un bizzarro piano di Xi per umiliare Hu, che ha governato la Cina dal 2002 al 2012. Ma è più probabile che Hu, 79 anni, sia semplicemente malato: è apparso disorientato, e prima di lasciare il palco ha parlato con Xi, che ha risposto annuendo. Qualche ora dopo le immagini che mostravano Hu al congresso sono state trasmesse dal tg della sera, cosa che non sarebbe successa se fosse stato epurato. In ogni caso la sua uscita di scena, insieme all’assenza al congresso del suo predecessore Jiang Zemin (96 anni), ha chiaramente esaltato la posizione di Xi come unico vertice del partito.

Ed è proprio questo il problema di Xi. Secondo il sinologo australiano Geremie Barmé, Xi si è proposto come “presidente di tutto”. Ha rivendicato la strategia “zero covid”, il ridimensionamento di parte delle aziende private, la repressione del dissenso e dei gruppi religiosi e una politica estera aggressiva che non tollera ingerenze. Nel discorso che ha aperto il congresso, Xi ha presentato molti di questi punti come successi del suo mandato: l’approccio “zero covid” ha salvato molte vite, le politiche del governo porteranno prosperità e la sua amministrazione sta lavorando duramente per l’unificazione con Taiwan.

Vicolo cieco

Eppure tutti questi elementi costituiscono anche potenziali debolezze. La strategia inflessibile del governo contro il covid-19 ha effettivamente salvato molte vite, se pensiamo che negli Stati Uniti il virus ha ucciso più di un milione di persone e immaginiamo cosa sarebbe potuto succedere in un paese con una popolazione quattro volte più numerosa. Ma è altrettanto innegabile che il Partito comunista cinese sia finito in un vicolo cieco. Prima o poi la Cina dovrà lasciarsi alle spalle le restrizioni e, anche ricorrendo ai vaccini giusti, sarà inevitabile che ci siano migliaia di morti: esattamente quello che oggi Pechino considera inaccettabile. Come farà il governo a giustificare un improvviso cambio di strategia?

Per quanto riguarda l’economia, la linea dell’esecutivo è sostenere che l’attuale rallentamento sia dovuto ai lockdown e a una frenata a livello globale. L’analisi è in parte corretta, ma trascura gli effetti di un decennio senza riforme economiche. Considerando che in Cina le riforme orientate al mercato sono state accantonate, le possibilità di un ritorno alla crescita sostenuta sono scarse.

Anche nelle relazioni internazionali Xi si è incastrato da solo, specie per quanto riguarda Taiwan. Uno studio politico pubblicato ad agosto ha concluso che la riunificazione è “indispensabile” per il “rinascimento cinese”, la missione principale del presidente. Tuttavia, secondo la maggior parte degli analisti militari passeranno anni prima che la Cina sia pronta a lanciare un complesso attacco anfibio contro l’isola, che si trova a circa 160 chilometri delle coste cinesi. Bisognerà vedere se Xi riuscirà a gestire le aspettative che sta creando.

Paragoni ingombranti

Tutto questo solleva una serie di interrogativi sul suo potere. Xi viene definito il “leader più potente dopo Mao”, ma questa tesi è ancora tutta da dimostrare. Mao ha fondato la Repubblica popolare distruggendo il vecchio sistema dominato da proprietari terrieri e capitalisti e trasformando radicalmente la società cinese. Il suo successore, Deng Xiaoping, ha conquistato il potere alla fine degli anni settanta e lo ha conservato per quasi vent’anni, governando per procura ed eliminando a piacimento i suoi “delegati”. Anche Deng ha cambiato profondamente la traiettoria della Cina, cancellando molte politiche di Mao e varando le riforme economiche che hanno fatto del paese la potenza che è oggi. La sua repressione brutale delle rivolte del 1989 in piazza Tiananmen ha fissato i limiti del dibattito, escludendo la possibilità di qualsiasi riforma politica. È stato Deng ad avviare la modernizzazione dell’esercito di cui oggi Pechino raccoglie i frutti. Xi, invece, non ha cambiato radicalmente la Cina, o almeno non ancora. Non ha creato le condizioni necessarie perché la Cina diventi un paese ad alto reddito. La sua politica estera ha suscitato forti critiche a livello internazionale, e quella interna consiste in una scontata serie di repressioni.

Deng Xiaoping ha plasmato un fragile sistema di successione, che lui stesso ha più volte ignorato e che è sopravvissuto solo ai due eredi scelti personalmente da lui, Jiang Zemin e Hu Jintao. È il sistema che Xi ha violato ottenendo un terzo mandato da segretario generale. Non si tratta della distruzione di un antico meccanismo di equilibri e contropoteri, quanto della dimostrazione di ciò che è sempre stato ovvio: è l’uomo forte che comanda.

Il più grande rischio per Xi, nonché la sua principale debolezza come stratega, è l’essersi posizionato sulla linea di tiro. Quando le cose andavano male, Mao e Deng potevano sempre sacrificare i sottoposti che erano formalmente responsabili delle varie questioni. Xi, invece, ha costruito un sistema che lo fa apparire forte nel breve periodo, ma che non gli lascia alcuna possibilità di nascondersi. ◆ as

Da sapere
La propaganda

◆ La prima pagina del Renmin Ribao (Quotidiano del popolo) del 24 ottobre. Il quotidiano è direttamente controllato dal comitato centrale del Partito comunista cinese ed è il suo organo di stampa più diffuso. In caso di eventi importanti, come la chiusura del congresso, la prima pagina viene replicata sulle centinaia di quotidiani locali controllati dal partito.


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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati