Il governo di estrema destra di Giorgia Meloni userà il pugno di ferro che ha sempre promesso ai suoi elettori per riportare l’ordine. Per esempio diventerà un reato punibile fino a due anni di carcere bloccare strade o ferrovie, anche se pacificamente, cosa che succede spesso nelle proteste sindacali o in quelle per la tutela dell’ambiente. Un tipo di protesta che finora comportava una sanzione amministrativa. Lo stesso varrà per la resistenza passiva a un agente in carcere o in un centro di accoglienza per migranti. Per tutti questi motivi l’opposizione ha già soprannominato il disegno di legge (ddl) “anti-Gandhi”.

Per gli stranieri senza documenti in regola sarà più difficile comprare una sim per il telefono, perché per farlo sarà necessario mostrare il permesso di soggiorno. Il venditore che non lo chiederà rischia la chiusura dell’attività per un periodo che può arrivare fino a un mese. La Caritas e altre organizzazioni che si occupano di migranti la considerano una misura discriminatoria che colpisce il diritto di comunicare con la propria famiglia.

Fa tutto parte del disegno di legge sicurezza, un ampio pacchetto di misure che introduce venti nuovi reati o aggravanti e aumenta i relativi anni di carcere. Il disegno di legge è stato approvato dalla camera dei deputati il 18 settembre e ora manca il passaggio in senato, dove il governo vuole che la discussione sul testo abbia la priorità. Il 23 e il 25 settembre l’opposizione e i sindacati hanno manifestato perché considerano il ddl “liberticida”, “semplice propaganda” dagli scarsi effetti pratici e un’esibizione di “furia ideologica”.

Stato autoritario

In ambito giudiziario sono arrivate critiche molto dure, come quella di uno dei pubblici ministeri di Napoli, Fabrizio Vanorio, di Magistratura democratica, che ha detto: “Il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica contiene una serie di norme tecnicamente da stato autoritario. Se passasse, si tornerebbe a un diritto penale autoritario simile a quello degli anni di Mussolini, o per fare un esempio più moderno, a quello dell’Ungheria di Orbán”.

Secondo l’attuale governo di estrema destra italiano, questo è il tipo di misure che si aspetta il suo elettorato. Meloni interviene in uno dei settori più identitari per il suo partito, l’ordine e la sicurezza. Uno dei primi provvedimenti adottati, appena arrivata al governo nel 2022, è stato infatti il cosiddetto decreto sui rave, che punisce con pene da tre a sei anni di carcere chiunque organizzi feste musicali in luoghi che non sono di sua proprietà, cosa che capita spesso visto che di solito questo genere di eventi si svolge su terreni incolti o capannoni abbandonati. Da allora è cominciata la lunga gestazione del ddl sulla sicurezza, per stringere la morsa su tutti i fronti che compongono il catalogo delle priorità dell’estrema destra italiana: le proteste, gli immigrati, la cannabis light o gli squatter.

Ritorno al medioevo

Come simbolo delle richieste più estreme, si è intrufolata nel ddl una delle vecchie ossessioni della Lega: la castrazione chimica per i criminali sessuali. Il partito di Matteo Salvini è riuscito a far approvare la creazione di una commissione tecnica che studi una proposta per inibire farmacologicamente l’impulso sessuale dei condannati, a patto che questi lo accettino volontariamente. L’inibizione porterebbe a una sospensione condizionale della pena. Si tratta di una misura applicata in Russia, in Polonia e in alcuni paesi scandinavi, ma la cui efficacia non è provata. È improbabile che si vada oltre la discussione della commissione tecnica, però è un esempio dei temi che la Lega porta nel dibattito pubblico. L’istituzione della commissione è stata celebrata da Salvini scrivendo sui social media: “Vittoria!”.

Sia il Partito democratico (Pd) sia il resto dell’opposizione e diversi giuristi hanno ricordato che le punizioni corporali sono incostituzionali e anacronistiche. La Lega aveva cominciato a chiedere la castrazione chimica nel 2002, riproponendo il tema nel 2019 e all’epoca il magistrato Carlo Nordio, che oggi è ministro della giustizia, parlò di un “ritorno al medioevo”. Allora quel viaggio nel passato non fu fatto. Ora sembra di sì.

Come simbolo delle richieste più estreme, si è intrufolata nel disegno di legge la castrazione chimica per i reati sessuali

La Lega propone anche il ritorno del servizio militare obbligatorio, e su questo tema sono state presentate due proposte parlamentari.

Buona parte del disegno di legge – la più controversa – si concentra sull’inasprimento delle pene per le manifestazioni di protesta. La Cgil ha detto che “è una vergogna introdurre norme destinate a punire indiscriminatamente chi esprime il proprio dissenso nei confronti del governo o manifesta per difendere un posto di lavoro”. Partecipare a blocchi stradali o ferroviari può comportare un mese di carcere, ma nel caso di una protesta collettiva si passa da sei mesi a due anni. E questa è solo una parte.

Pensando alle proteste contro l’alta velocità ferroviaria o il ponte sullo stretto di Messina, il disegno di legge introduce un’aggravante che aumenta le pene fino a un terzo se la violenza o le minacce contro un agente avvengono “allo scopo di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”. Le pene aumentano da un anno e mezzo a sei anni di reclusione per il reato di danneggiamento durante una protesta, nel caso di violenza contro le persone o minacce. Inoltre, gli agenti di pubblica sicurezza quando non sono in servizio potranno portare con sé qualsiasi pistola, non solo quella d’ordinanza.

Il riferimento a Gandhi è dovuto anche a un’altra misura: la punizione della “resistenza passiva” come metodo di protesta nelle carceri e nei centri di accoglienza per migranti. Quest’ultimo articolo prevede pene da uno a cinque anni di reclusione per chiunque partecipi “a una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti”, in gruppi di tre o più persone, inoltre “anche gli atti di resistenza passiva costituiscono atti di resistenza”. Questi cambiamenti arrivano in un periodo di grande tensione nelle carceri, dove si stanno verificando proteste a causa di una situazione di emergenza: le prigioni sono cadenti e sovraffollate (secondo un report del garante nazionale delle persone private della libertà in quelle italiane ci sono 61.840 detenuti per 46.929 posti), e nel 2024 ci sono stati 72 suicidi in cella (dati aggiornati al 17 settembre 2024). Per questo si critica anche il fatto che il ddl abbia aumentato i reati puniti con il carcere, anche se commessi da donne incinte o con figli di meno di un anno. Si tratta di una misura adottata pensando alle donne di etnia rom, che sono anche il bersaglio dichiarato di una nuova aggravante, cioè che il reato sia commesso “all’interno o in prossimità di una stazione ferroviaria o metropo­litana”, o all’interno dei vagoni.

No alla cannabis light

Per quanto riguarda le occupazioni abusive, il ddl prevede pene da due a sette anni di carcere per chiunque occupi un immobile o impedisca l’accesso al proprietario, e questo include case, garage, terrazze e cortili. Il disegno di legge stabilisce una procedura d’emergenza per lo sgombero dell’immobile, che sarà eseguito d’ufficio se il proprietario è una persona incapace per età o stato di salute.

Un altro fronte che ha suscitato forti critiche è quello che pone fine alla legalizzazione in vigore dal 2016 della cosiddetta cannabis light, quella con una percentuale di thc, una sostanza psicoattiva, inferiore allo 0,2 per cento. Il nuovo decreto la equipara alle droghe pesanti. Il problema è che in questi otto anni intorno al prodotto è fiorito un importante business: ci sono 800 aziende che lo coltivano, 1.500 che lo lavorano, hanno un fatturato di 500 milioni di euro e impiegano 11mila persone, quindi è un settore in crescita. La Lega voleva vietare anche l’uso del disegno della foglia di marijuana a fini pubblicitari, ma la proposta non è stata inserita nel disegno di legge. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 45. Compra questo numero | Abbonati