L a mattina del 28 settembre un giornalista della rete televisiva israeliana Channel 13 si è messo a distribuire cioccolatini ai passanti nella città di Karmiel, nel nord del paese, durante una diretta televisiva. Un giornalista di una grande rete, che non ha la più pallida idea di quello che dovrebbe essere il suo lavoro, regala dolci a gente esausta, che non ricorda più un Israele diverso da questo. Mai prima d’ora qualcuno aveva distribuito cioccolata in diretta in occasione di un omicidio mirato. Mai prima d’ora eravamo caduti così in basso. Un altro giornalista, ben più importante e popolare – Ben Caspit, rappresentante del fasullo “centro moderato” – ha scritto su X che il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah “è stato schiacciato nella sua tana ed è morto come una lucertola… una morte appropriata”. Come se fosse stato lui a bombardare il bunker.

Il 28 settembre questo patriottismo barbarico ha alzato la testa e Israele ha esultato. I nazisti chiamavano gli ebrei ratti, e Nasrallah è una lucertola. Chi avrà qualcosa da ridire? I fascisti più estremi erano ancora chiusi nelle loro sinagoghe, in attesa della fine dello shabbat, per vomitare le loro oscenità e la loro gioia malata, ma nel frattempo il rispettabile e illuminato Ben Caspit ha svolto egregiamente il loro compito.

Mentre i bombardieri colpivano Beirut, accompagnati dagli applausi in Israele, milioni di persone a Gaza, in Cisgiordania e in Libano piangevano per la loro sorte

Shehehianu vekiamanu (colui che ci ha dato la vita), ha scritto uno di loro, recitando una preghiera di gratitudine, un sentimento condiviso da molti. La portata in termini di vittime provocate dalle ottanta bombe fornite dagli Stati Uniti non è ancora chiara, ma i numeri non avranno alcun effetto su Israele. Cento o mille civili innocenti, perfino la morte di decine di migliaia di bambini, non cambieranno niente. Perché non una piccola bomba atomica? Dopotutto abbiamo ucciso il male assoluto.

Non è necessario essere un guastafeste per mettere in discussione questa gioia e le sue motivazioni. In Israele la situazione era forse migliore il 29 settembre rispetto al giorno del bombardamento? Dopo un anno deprimente, l’umore della maggior parte dei cittadini è stato risollevato; siamo tornati ad adulare l’esercito (tutti) e a venerare il primo ministro Benjamin Netanyahu (non tutti), ma cosa è cambiato? Hassan Nasrallah è stato condannato a morte perché era un acerrimo nemico dello stato ebraico (e del Libano). La sua uccisione, però, non salverà Israele.

Nella nostra prima settimana senza Nasrallah, faremmo bene a darci un’occhiata intorno. La Cisgiordania è sull’orlo dell’esplosione; Israele è impantanato in una Gaza in rovina, senza una via d’uscita all’orizzonte, come i suoi ostaggi; l’agenzia Moody’s ha declassato l’economia ai minimi; la carneficina cominciata a Gaza si sta spostando in Libano. Mezzo milione di libanesi è stato allontanato dalla propria casa, e altri due milioni di persone vagano da una parte all’altra nella Striscia, in condizioni di povertà. Ma abbiamo ucciso il male assoluto.

Meglio non menzionare nemmeno la reputazione internazionale dello stato ebraico. Basti pensare a cos’è successo il 27 settembre all’assemblea generale delle Nazioni Unite durante il discorso di Netanyahu (quando molte delegazioni hanno abbandonato la sala).

Anche la situazione della sicurezza è più fragile di quanto sembri. Aspettate la guerra regionale che potrebbe scatenarsi; con l’omicidio di Nasrallah abbiamo fatto grandi passi in avanti in questa direzione. Intanto il paese vive nel terrore. I fatti del 27 settembre non hanno avvicinato il ritorno delle decine di migliaia di persone sfollate dalle loro case nel nord, ma Israele esulta per la caduta del suo nemico.

Nell’ultimo anno il governo di Netanyahu ha parlato solo una lingua, quella della guerra. C’è da diventare pazzi a pensare che milioni di persone hanno perso tutto a causa di questo. Mentre i bombardieri colpivano la periferia sud di Beirut, accompagnati dagli applausi in Israele, milioni di persone a Gaza, in Cisgiordania e Libano piangevano per la loro sorte, per i morti, le case distrutte e la perdita degli ultimi brandelli di dignità. Sono state private di tutto.

Questa è la realtà che promette Israele. Anche se Nasrallah è morto, un giorno il vulcano esploderà. Dipendente dagli Stati Uniti, complici del massacro di Gaza e della guerra in Libano (Washington non ha fatto nulla per evitarli se non pronunciare parole vuote per bocca del presidente Joe Biden e del segretario di stato Antony Blinken, impotenti di fronte a Netanyahu), Israele crede di poter andare avanti così per sempre. E non vede alternative.

Questo sarebbe impossibile senza il sostegno americano. Ma gli Stati Uniti non lo manterranno per sempre, viste le loro tendenze isolazioniste. E allora cosa succederà? Congratulazioni di cuore per aver ucciso Nasrallah! Il suo successore è in attesa dietro le quinte e a giudicare dal passato sarà ancora più pericoloso. Che farà Israele? Ucciderà anche lui, e distribuirà cioccolatini ai passanti. ◆ fdl

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati