Cultura Libri
Il mondo della foresta
168 pagine, 13 euro

Su un lontano pianeta coperto di foreste e abitato da una popolazione primitiva e pacifica arrivano i terrestri. E sono lì per conquistare e saccheggiare. Nel Mondo della foresta (1976), l’amministrazione coloniale guidata da forze militari battezza il pianeta New Tahiti e comincia a deforestare senza pietà perché sulla Terra ormai il legno è venduto al prezzo dell’oro. I terrestri riducono in schiavitù un certo numero di abitanti della foresta che chiamano ironicamente creechie. La storia segue il capitano Davidson, il capo di uno degli avamposti, che si definisce un “vecchio conquistador”; Luyobov, uno scienziato comprensivo che studia i creechie e che rassicura gli ufficiali coloniali che i creechie non conoscono il concetto di omicidio; e Selver, un ex abitante della foresta ridotto in schiavitù che fugge per avvertire il suo popolo che, per la prima volta, la loro stessa esistenza è in pericolo. Scritto durante la guerra del Vietnam, questo è uno dei commenti più espliciti di Le Guin sull’imperialismo statunitense e sulla crisi ambientale. E questo romanzo è più rilevante che mai oggi. Le giungle di New Tahiti sono un sistema naturale antichissimo e profondamente interconnesso, con poche difese visibili. I terrestri sono accecati dalla spavalderia e dalla fede nelle loro armi — “Proteggono più le loro armi che i loro corpi”, osserva Selver — e Davidson e i suoi uomini sottovalutano la forza segreta dei piccoli, apparentemente indifesi abitanti della foresta.
Shreya Chattopadhyay, The New York Times

Di luce e polvere
224 pagine, 18,00 euro

Nel bel mezzo di questo libro attento, scritto con dolcezza e potenza, la narratrice siede nel fatiscente cinema di paese che ha comprato – contro ogni logica – in un villaggio nel sud-est dell’Ungheria, proprio al confine con la Romania. Sono momenti di pace. Si siede lì e osserva i cambiamenti della luce estiva nel corridoio. La stanza è cadente, le pareti sono ammuffite. L’odore, be’, è quello di un cinema abbandonato. Tre impiegati comunali trascinano dentro, arrotolato, il vecchio schermo su cui erano proiettati i film ai tempi d’oro di quella sala. In paese tutti chiedono quando riaprirà il mozi, “cinema” in ungherese. Esther Kinsky invoca costantemente l’estetica del cinema, ne segue le tracce, ne legge i simboli, ma il suo racconto ci rende sempre più consapevoli che non possiamo più far parte di questo incanto se non nei nostri ricordi o nelle fantasie che ci riportano al presente: è una magia perduta. Di luce e polvere crea uno spazio per queste fantasie. Quella tela che i tre uomini trascinano nel mozi dopo tanti anni è marcita, proprio come le altre attrezzature che la narratrice e Józsi, il vecchio proiezionista, stanno provando per usarle in futuro. Alla fine decideranno di proiettare su un muro imbiancato. E la riparazione delle vecchie attrezzature, in quella remota provincia ungherese, diventa una piccola odissea. La prosa di Kinsky è limpida e riflessiva ed evoca il cinema come espressione poetica di un rapporto con il mondo ormai irrecuperabile.
Paul Ingendaay, Frankfurter Allgemeine Zeitung

Una storia selvaggia
400 pagine, 19,50 euro

Il terzo romanzo della scrittrice Eowyn Ivey ruota intorno alla vita disordinata di Birdie. La donna gestisce un bar in un remoto complesso in Alaska e tende a far festa con alcol e cocaina insieme alla gente del posto. Questo le fa trascurare la figlia di sei anni, Emaleen. Birdie è attratta da un uomo, Arthur, che è gentile ma un po’ strano: scompare nei boschi per lunghi periodi e pensa che un pezzo di tundra possa essere un bel regalo. Con il passare del tempo ascoltando il padre preoccupato di Arthur, Warren, Birdie scopre qualcosa di più su ciò che l’ha reso così distante, quasi inselvatichito. In parte storia d’amore un po’ nera, in parte racconto d’avventura, questo romanzo ha tracce del misticismo, del folclore e delle fiabe che hanno caratterizzato i due precedenti romanzi di Ivey e, nel suo momento più forte, immerge profondamente il lettore nella peculiare prospettiva di Arthur sul mondo. Eppure la natura dell’attrazione tra Birdie e Arthur non è ben descritta e la piccola Emaleen è stucchevolmente precoce. Tra i suoi meriti Eowyn Ivey ha, come Margaret Atwood, il dono di scrivere sulla natura in modi stravaganti ma non surreali. Tuttavia la struttura generale del libro è un po’ scricchiolante. Un tentativo rispettabile, anche se imperfetto, di esplorare il confine tra natura umana e animale.
Kirkus Reviews

I gentiluomini di fortuna
360 pagine, 19,00 euro

Ambientato nel 1952 tra i moli, le latterie e le pensioni della multietnica Tiger Bay, a Cardiff, I gentiluomini di fortuna è un romanzo basato su eventi reali che ruota intorno all’ingiusta prigionia e all’esecuzione di Mahmood Mattan, un marinaio somalo, padre di tre bambini, che fu l’ultimo uomo a essere impiccato nella prigione di Cardiff. Prove inventate, false testimonianze e una polizia istituzionalmente razzista lo portarono a essere dichiarato colpevole dell’omicidio di una negoziante, Lily Volpert, qui ribattezzata Violet Volacki. La narrazione di Mohamed ci mette un po’ a decollare perché cerca di essere straordinariamente imparziale. I capitoli iniziali ruotano intorno ai punti di vista di Violet, la vittima, e della sua famiglia. Il romanzo diventa molto più avvincente quando l’attenzione è focalizzata sul pungente e anticonformista Mattan e sulla sua lotta per riabilitare il proprio nome. Nel suo racconto determinato, sfumato ed empatico dell’ingiustizia, Mohamed dà significato e dignità alla terribile storia della vita e della morte ingiusta di Mahmood Mattan.
Michael Donkor, The Guardian

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1609 - 11 aprile 2025
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