Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le maggiori istituzioni scientifiche mondiali hanno cominciato a ridurre le collaborazioni con la Russia. Il caso più clamoroso si è verificato il giorno dopo l’invasione: il 25 febbraio il Massachussetts institute of technology (Mit) di Boston ha interrotto la cooperazione con Skolkovo, un centro di innovazione tecnologica con sede a Mosca. In una lettera aperta pubblicata su Science il 24 marzo, alcuni scienziati occidentali hanno chiesto di non punire i colleghi russi per le azioni del loro governo. L’aumento del costo delle forniture, l’impossibilità di pagare le attrezzature necessarie alla ricerca e la cancellazione dei voli diretti, però, sono sufficienti per isolare la scienza russa e infliggere un colpo fatale. The Insider ha parlato con diversi scienziati delle difficoltà che stanno affrontando, di come vedono la situazione e se intendono lasciare il paese. Per ovvi motivi, tutti hanno chiesto di restare anonimi.
Come lo Zimbabwe
L’Mfti era già stato sanzionato prima dell’invasione dell’Ucraina: nel novembre 2021 gli Stati Uniti avevano bloccato il trasferimento di tecnologie a causa della collaborazione tra l’istituto e le forze armate russe. L’acquisto dei cosiddetti prodotti a duplice uso (civile e militare) è sempre stato difficile, ma oggi alcune apparecchiature ad alta tecnologia possono essere acquistate solo tramite terzi e a un prezzo molto più alto.
Dopo l’invasione moltissime aziende si sono ritirate dal mercato russo. Ora anche le attrezzature più basilari costano il doppio o il triplo, e in Russia praticamente non si producono strumenti per la ricerca moderna. Per ora possiamo solo fare ipotesi su come questo inciderà sul nostro lavoro. In laboratorio abbiamo attrezzature che hanno bisogno di essere riparate, ma ora non possiamo fare niente, perciò non potremo portare a termine una serie di lavori che avevamo in programma. Non abbiamo le risorse per acquistare strumenti seri e anche i materiali di consumo hanno prezzi più alti, così le risorse che finora erano appena sufficienti d’ora in avanti non lo saranno più. I finanziamenti e i materiali che sarebbero bastati per sei mesi ne copriranno al massimo due o tre, dopodiché il lavoro si fermerà.
I legami informali con i colleghi stranieri non si romperanno, ma senza collaborazioni ufficiali non potremo ricevere alcun supporto in termini di risorse. Non potremo più chiedere sovvenzioni all’estero, e non solo perché il mondo sta voltando le spalle alla Russia. Se ricevo un finanziamento da un’organizzazione internazionale, o uno stipendio, o anche solo un rimborso di viaggio per una conferenza, rischio di violare la legge russa contro gli “agenti stranieri” e di perdere i miei diritti.
In generale, le prospettive sono deprimenti. I laboratori rallenteranno notevolmente il lavoro perché saranno privati dell’accesso alle moderne tecnologie, mentre la ricerca legata agli interessi statali non subirà grossi danni. Skolkovo e SkolTech (un istituto privato per la tecnologia e l’innovazione) dovrebbero essere la vetrina del progresso scientifico e tecnologico russo. Lì l’afflusso di denaro aumenterà notevolmente, perché si vorrà dimostrare che è tutto a posto. Quanto ai laboratori segreti, per esempio quelli legati all’industria militare, avranno tutto quello di cui hanno bisogno a prescindere dal prezzo. Acquisteranno i materiali tramite terzi, come si faceva alla fine degli anni ottanta e all’inizio degli anni novanta. Allora gli Stati Uniti avevano vietato l’esportazione di computer in Russia, e dovevamo acquistarli a un prezzo tre o quattro volte più alto tramite intermediari in Turchia, in Egitto o altrove.
Le istituzioni scientifiche necessarie allo stato non avranno grossi problemi, ma lo sviluppo scientifico in generale rallenterà. L’effetto a lungo termine sarà un calo del grado di istruzione, perché nelle università sono gli scienziati e i ricercatori a garantire una formazione di alto livello. Se queste persone abbandoneranno l’attività scientifica e si trasformeranno in semplici impiegati, o se resteranno indietro rispetto al resto del mondo, la qualità dell’istruzione diminuirà e con essa anche la qualità dei professionisti.
Nella migliore delle ipotesi sarà come al tempo dell’Unione Sovietica: allora enormi risorse erano destinate agli armamenti atomici, quindi in quel campo eravamo all’avanguardia, mentre nella microelettronica e nel campo della ricerca biomedica eravamo indietro di venti o trent’anni. Si faceva ricerca, ma il livello era molto basso. Del resto ci sono paesi in cui la ricerca non esiste, come lo Zimbabwe o il Paraguay: si può vivere anche così, ed è quello che succederà a noi.
Sono estremamente critico nei confronti della guerra e insieme ad altri scienziati russi ho firmato la lettera aperta contro l’invasione pubblicata su Troitskij Variant il 24 febbraio. Ora è difficile parlare di queste cose con i miei colleghi perché, a causa della legge sulle “notizie false”, si rischia di essere multati o di finire in carcere. Ma ho l’impressione che meno della metà di loro sia favorevole all’“operazione speciale”.
Tra questi alcuni si limitano a seguire il gregge, altri invece sono convinti che il conflitto offra nuove opportunità. Credono che la Russia sia troppo dipendente dalle importazioni, e che ora molti beni dovranno essere sostituiti da prodotti russi. Io sono molto scettico. Questo processo di sostituzione è in atto dal 2014, ma non si è visto nessun miglioramento.
Per quanto riguarda l’ipotesi di lasciare il paese, pochi sono disposti a mollare tutto e partire. Sappiamo che dall’altra parte non c’è nessuno ad accoglierci. Ho vissuto all’estero per molti anni e so bene che solo le figure professionali più richieste possono lasciare il paese senza peggiorare le proprie condizioni. E non tutti sono pronti ad accettarlo. In occidente le opportunità sono limitate. Se centomila ricercatori lasciassero la Russia per gli Stati Uniti, come riuscirebbero tutti a trovare posto nelle università? Certo, possono sempre diventare spazzini o postini, non c’è niente di male.
Responsabile del laboratorio biotecnico dell’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca (Mfti)
Legami indispensabili
Sono un matematico e non partecipo molto ai progetti internazionali. Quello che mi ha colpito di più sono stati l’atteggiamento ostile dei colleghi stranieri e l’impossibilità di partecipare alle conferenze internazionali. Alla Russia è stato negato il permesso di ospitare il congresso internazionale di matematica del 2022. Due conferenze a cui dovevo partecipare sono state cancellate. Non potrò andare in Svezia come visiting professor, e non potrò permettermi di partecipare ad altre conferenze perché non esistono più voli diretti e in Russia praticamente non esistono borse di viaggio, quindi dobbiamo pagare tutte le spese per le trasferte di lavoro.
Anche non poter più accedere alle riviste straniere avrà delle conseguenze. Non si può fare ricerca senza consultare gli archivi online: se non sai cosa stanno facendo i tuoi colleghi, se non conosci gli ultimi risultati, resti tagliato fuori e al massimo puoi occuparti di roba vecchia e poco interessante. Nuovi studi compaiono continuamente. Quando preparo un articolo è normale per me prendere in considerazione i risultati delle ultime ricerche e mostrare il legame tra i miei studi e quelli dei miei colleghi. Se manca questa connessione, il mio lavoro non è utile a nessuno.
La scienza russa, che era già in cattivo stato, è stata definitivamente distrutta. La separazione della comunità scientifica russa da quella internazionale equivale alla morte della scienza. La ricerca è possibile solo in un contesto internazionale, e ora praticamente non esiste più. Ora che non c’è più l’obbligo di pubblicare articoli a livello internazionale avremo una sfilza di pubblicazioni su riviste scientifiche russe che nessuno all’estero legge e mai leggerà: non per russofobia, ma perché la qualità della revisione e quindi degli articoli nelle nostre riviste è molto inferiore a quella dei giornali stranieri. Se i sistemi di citazione internazionali garantivano almeno un certo livello di articoli pubblicabili, da ora in poi la qualità precipiterà. In confronto al collasso economico che ci aspetta, però, sarà solo una goccia d’acqua nell’oceano.
Temo che negli ambienti accademici cominceranno a circolare teorie antiscientifiche e demagogiche promosse da certi scienziati patriottici. Mi aspetto un esodo di massa di ricercatori qualificati e di laureati. Gli studenti più promettenti scapperanno all’estero dopo la laurea. Il tenore di vita degli scienziati e degli insegnanti, già molto basso, calerà ulteriormente. Le risorse diminuiranno, e con l’inflazione sarà dura ottenere un aumento degli stipendi. Eravamo già abituati alle ristrettezze, ma se prima gli insegnanti e gli scienziati rientravano nello strato basso della classe media, adesso passeranno direttamente alla miseria. La scienza russa è destinata al collasso, come la Russia nel suo insieme: ci sarà un rapido declino del livello tecnologico in tutti i settori.
Le sanzioni sono una misura logica: per gli europei è inaccettabile avere a che fare con uno stato che si macchia di crimini di guerra. E bisogna ammettere che le istituzioni accademiche russe non hanno portato chissà quali contributi nelle collaborazioni internazionali. La Russia ha perso da tempo le sue eccellenze.
Gli scienziati e gli studenti ucraini potranno almeno ricostruire le loro istituzioni scientifiche dopo che la guerra sarà finita, in Russia invece non abbiamo neanche questa speranza.
Professore associato presso l’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca (Mfti)
La speranza è svanita
Il problema principale è non poter più acquistare strumenti ad alta tecnologia. In Russia non si producono o non sono all’altezza. Ci sono sostituti cinesi, ma sono prodotti di qualità inferiore.
Il lavoro di chi usa piattaforme ad alta tecnologia subirà conseguenze molto gravi. Quasi tutti i componenti elettronici in Russia provengono dai paesi più sviluppati. Da noi non c’è niente che somigli a un’industria dei semiconduttori. La scienza continuerà il suo declino: anche senza le sanzioni, la Russia stava già sprofondando comunque.
◆ Secondo Bloomberg l’amministrazione statunitense vuole facilitare la concessione di visti ai ricercatori russi contrari all’invasione dell’Ucraina. Il piano è rivolto soprattutto agli esperti di settori strategici come l’intelligenza artificiale, la fisica quantistica e i semiconduttori ed è stato paragonato all’Operazione paperclip, con cui al termine della seconda guerra mondiale più di 1.600 scienziati tedeschi, in gran parte esperti di missilistica, furono portati negli Stati Uniti prima che l’Unione Sovietica potesse integrarli nei suoi programmi.
Ritengo giustificate le sanzioni, e se fosse dipeso da me forse avrei preso provvedimenti ancora più duri. Alcuni dei miei colleghi sono già partiti o si stanno organizzando per farlo. Le prospettive per la scienza nel nostro paese sono sempre state misere, e ora anche l’ultima speranza sta svanendo.
Ricercatore presso la facoltà di fisica dell’Università statale di Mosca (Mgu)
La nuova realtà
In generale, l’atteggiamento dei colleghi stranieri verso di noi non è cambiato: capiscono la nostra situazione e cercano di aiutarci come possono. Questa è la nuova realtà. Ci adatteremo e cercheremo di realizzare le nostre idee con le risorse che abbiamo. Ma dato che non possiamo più pubblicare articoli su riviste straniere, la scienza russa perderà gradualmente il riconoscimento mondiale. Le nostre idee non saranno più prese in considerazione. Possiamo ancora leggere le riviste straniere, ma se verrà meno anche questa opzione, il divario aumenterà.
Scienziato, Mgu
◆ Le conseguenze della guerra in Ucraina potrebbero finire per mettere in discussione il futuro della Stazione spaziale internazionale. La struttura, messa in orbita nel 1998 e frutto della collaborazione tra Stati Uniti, Russia, Unione europea, Giappone e Canada, era stata risparmiata dalle tensioni degli ultimi anni tra Mosca e l’occidente, compreso il primo conflitto ucraino del 2014. Subito dopo l’invasione il capo dell’agenzia russa Roscosmos, l’ex premier Dmitrij Rogozin, ha dichiarato che le sanzioni potrebbero portare al suo ritiro dal progetto, avvertendo che senza l’apporto dei componenti russi la stazione potrebbe uscire dall’orbita e precipitare sulla Terra. La Russia ha approvato il finanziamento della sua missione fino al 2024, ma in seguito potrebbe uscire dal programma per lanciare una stazione propria, anche se l’impatto economico delle sanzioni potrebbe complicare i suoi piani. Il boicottaggio imposto dopo l’invasione dell’Ucraina ha già portato alla sospensione della Russia da diverse istituzioni scientifiche internazionali, come il Cern di Ginevra, e potrebbe avere gravi conseguenze per ricerche importanti come i rilevamenti dello scioglimento del permafrost artico, due terzi del quale si trovano in territorio russo. Reuters
Costretti ad allinearsi
L’Mit ha interrotto la cooperazione con Skoltech, e molti progetti complessi e costosi non possono essere completati senza le sovvenzioni e l’aiuto dei colleghi statunitensi. Gli scienziati russi sono stati esclusi dal congresso della Federazione delle società biochimiche europee, nonostante avessero già pagato la quota di partecipazione. Dal punto di vista legale ha tutta l’aria della frode e della discriminazione.
Alcuni produttori di apparecchiature e reagenti hanno lasciato la Russia. Ora stiamo ricostruendo la logistica, stiamo passando a prodotti analoghi di produzione cinese o stiamo acquistando dai nostri fornitori a prezzi terribilmente alti.
Gli scienziati russi di regola appartengono all’intellighenzia liberale. Chiamano la guerra con il suo nome e odiano il totalitarismo. Certo, assistere alla “cancellazione” fa male, ma è chiaro che la colpa è dei nostri politici. Se la situazione precipitasse ulteriormente e il regime diventasse ancora più rigido, molti saranno costretti ad allinearsi per continuare l’attività. Questo non significa necessariamente essere a favore del regime. Il regime un giorno cadrà e qualcuno dovrà ricostruire il paese.
Considero Putin un presidente illegittimo e vado alle manifestazioni di protesta dal 2012, ma le sanzioni straniere contro di noi mi sembrano insensate. Gli oppositori più incalliti invece pensano che ci siamo meritati questo destino a causa della nostra passività. E forse hanno ragione.
Tutti i miei colleghi e amici stanno pensando di andarsene. Il nostro dirigente dice che dovrebbero partire tutti, soprattutto i giovani, finché non hanno figli, genitori malati e mutui da pagare. Ma mi sembra che sia improbabile che tutti se ne vadano, perché la fiducia in un futuro migliore è ancora forte tra l’intellighenzia liberale.
Qui tutto peggiorerà, ma la ricerca non scomparirà. Ci siamo già passati ai tempi dell’Unione Sovietica: gli scienziati ci saranno, ma senza libertà di pensiero avremo meno scoperte.
Ricercatore scientifico, Skoltech
Sotto pressione
Visto che i grandi archivi digitali di articoli scientifici come Web of Science e Scopus hanno deciso di chiudere l’accesso alle organizzazioni russe e bielorusse, i requisiti che dobbiamo rispettare per le pubblicazioni sono cambiati e abbiamo dovuto modificare gli articoli che stavano per essere pubblicati. Questo ci ha messo in difficoltà. La mia organizzazione opera principalmente con strutture russe, quindi per ora il nostro lavoro non ne ha risentito, ma a lungo termine potrebbero esserci conseguenze.
In Russia le scienze umane sono sotto una fortissima pressione, e il loro sviluppo, peraltro già piuttosto precario, subirà un ulteriore ritardo. Io e i miei colleghi parliamo di emigrare, ma per chi ha una famiglia è difficile. Ci ho pensato molto, anche prima degli eventi di quest’anno. Ma non so se la mia presenza sarebbe richiesta da qualche parte.
Penso che le sanzioni occidentali nei confronti dei cittadini russi e della scienza russa in particolare siano eccessive. L’emarginazione e la stigmatizzazione sono un problema per una comunità scientifica integrata. Ma nelle circostanze attuali probabilmente è l’unico modo per influenzare il governo e gli scienziati che lo sostengono.
Collaboratore dell’Università pedagogica statale di Mosca (Mpgu) ◆ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1460 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati