Il fatto che i jihadisti dell’organizzazione dello Stato islamico della provincia del Khorasan (Isis-K) abbiano usato un canale criptato di Telegram per rivendicare l’attentato di Mosca non ha sorpreso i servizi segreti occidentali. Anche se il presidente russo Vladimir Putin e i suoi servizi di sicurezza si sono mostrati molto riluttanti a citare il comunicato, è proprio attraverso questo canale che di solito il gruppo rivendica i suoi sempre più sanguinosi attentati.
L’Isis-K incarna la strategia di regionalizzazione seguita dal movimento jihadista dopo la perdita delle basi in Iraq e Siria, facilitata anche dall’instabilità nell’area afgano-pachistana. Nel luglio 2021, secondo un rapporto delle Nazioni Unite presentato al Consiglio di sicurezza, i combattenti dell’Isis in Afghanistan erano stimati “tra cinquecento e alcune migliaia”. La presenza del gruppo che porta il nome Provincia del Khorasan (regione storica che si estende tra Iran, Afghanistan, Pakistan e Turkmenistan) dello stato islamico è accertata dal 2015. Sempre secondo l’Onu, il ritorno al potere dei taliban nell’estate del 2021 ha ridotto il campo d’azione dell’Isis-K in Afghanistan, ma non la sua capacità di organizzare attacchi. Il gruppo, inoltre, avrebbe aperto nuove basi negli altri paesi dell’Asia centrale.
Già il 15 ottobre 2021 Putin si diceva preoccupato per “le ambizioni e la presenza dei jihadisti in Afghanistan” e sottolineava “l’esperienza di combattimento” acquisita in Iraq e in Siria. “I capi dello Stato islamico si stanno preparando a estendere la loro influenza nei paesi dell’Asia centrale e nelle regioni russe, alimentando i conflitti etnici-confessionali e l’odio religioso”, osservava il leader del Cremlino, che si chiedeva anche se i taliban afgani sarebbero riusciti a sconfiggere questi gruppi armati. In un primo momento “l’emirato del Khorasan” in Afghanistan ha fatto affidamento soprattutto sui ribelli che avevano rotto con i taliban e su altri gruppi radicali attivi alla frontiera con il Pakistan: forze che hanno usato l’organizzazione per prendere il controllo di piccoli territori locali. Dopo aver ricevuto l’aiuto dei taliban pachistani, cacciati dall’esercito di Islamabad, l’Isis ha creato la sua testa di ponte in Afghanistan, nel distretto montuoso di Achin, nella provincia orientale di Nangarhar, l’unica dove l’organizzazione è riuscita a installarsi in modo stabile oltre a quella di Kunar, per poi espandersi nelle zone di frontiera.
La lotta con i taliban
La morte del capo dell’Is Abu Bakr al-Baghdadi, il 26 ottobre 2019, ha accelerato l’espansione del gruppo verso l’Asia centrale, una tendenza confermata nel novembre 2020, quando 1.400 persone che vivevano nelle zone controllate dall’Isis nel nordest del paese si sono consegnate alle autorità afgane. Tra loro c’erano donne, bambini e numerosi cittadini di Azerbaigian, Uzbekistan, Tagikistan, Pakistan, Turchia, Maldive e perfino Canada e Francia.
Il 19 maggio 2019 l’assalto di alcuni miliziani dell’Isis a una prigione vicino a Dushanbe, capitale del Tagikistan, accompagnato dalla rivolta dei detenuti, aveva allarmato la comunità internazionale sulla presenza dell’organizzazione nella regione: molti combattenti erano tornati dall’Iraq e dalla Siria. Sei mesi prima gli stessi taliban, all’epoca in guerra con il governo di Kabul, avevano attaccato un campo di addestramento dell’Isis nella provincia afgana di Djozdjan, nel nord del paese. Dal 2018 fino alla metà del 2021 l’Isis ha accumulato un vero e proprio bottino di guerra saccheggiando in modo sistematico i siti archeologici.
Dal 2021 gli attacchi del gruppo in territorio afgano sono continuati senza interruzione, in particolare contro la comunità sciita hazara. Il 9 marzo 2023 il governatore della provincia afgana di Balkh, Mohammad Dawood Muzammil, notoriamente nemico dell’Is, è stato ucciso nel suo ufficio di Mazar-i Sharif. L’omicidio è stato subito rivendicato dal gruppo jihadista: si è trattato di un’azione inedita contro un alto funzionario islamista, probabilmente compiuta per rispondere alla morte, il 26 febbraio 2023, di Qari Fateh, capo operativo e dei servizi segreti dell’Isis-K, ucciso dai taliban.
Il 6 settembre 2022 l’Isis-K ha rivendicato su Telegram l’attacco suicida contro l’ambasciata russa a Kabul, nella quale sono morti due dipendenti russi e quattro afgani. Prendendo di mira la Russia, spiega un diplomatico dell’Onu a Kabul, l’Isis vuole mettere in difficoltà le relazioni tra il regime islamico e uno dei suoi pochi paesi amici. Anche se non ha riconosciuto il regime dei taliban, Mosca si è spesso dichiarata favorevole al ritiro delle sanzioni contro l’Afghanistan. Inoltre, secondo la stessa fonte diplomatica, la Russia rimane comunque un paese più accessibile e meno protetto rispetto a Europa e Stati Uniti.
Anche se da qualche anno i servizi segreti occidentali ritengono che la capacità dell’Isis di operare sul territorio europeo sia limitata, lo sviluppo del ramo afgano dell’organizzazione ha cambiato la situazione. Nel luglio 2023 le forze di polizia di Germania, Paesi Bassi e Belgio hanno arrestato i componenti di un gruppo terroristico che progettava, secondo la procura di Karlsruhe, delle azioni di “grande visibilità” in Germania. Tutti originari dell’Asia centrale (Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan), i terroristi sarebbero stati in contatto con i dirigenti dell’Isis-K.
Per ora l’Isis-K ha mostrato di poter colpire senza problemi nel suo perimetro regionale. Sono stati i suoi uomini, infatti, a rivendicare l’attentato che il 3 gennaio a Kerman, in Iran, ha fatto più di novanta morti. ◆ adr
Questo articolo si può ascoltare podcast di Internazionale In copertina. Disponibile ogni venerdì nella nuova app di Internazionale e su internazionale.it/podcast.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati