Il contrabbando di petrolio non è facile, ma rende così bene che gli ostacoli riescono solo a rallentarlo. Certo, le autorità possono limitare le entrate della vendita illegale dei barili, ma alla fine il greggio continua a scorrere. E oggi lo fa più che mai. La Russia, l’Iran e il Venezuela, cioè i tre principali produttori di petrolio sottoposti alle sanzioni occidentali, continuano a vendere greggio e altre forme di petrolio liquido nell’ordine dei sedici milioni di barili al giorno. Presumendo che i tre paesi facciano uno sconto del 20 per cento sui prezzi di mercato, i conti sono abbastanza facili: fa un miliardo di dollari al giorno.
È difficile credere all’efficacia delle ultime sanzioni e alla promessa di un’applicazione più severa di quelle precedenti. Di sicuro queste misure renderanno più complicato e meno redditizio il contrabbando, costringendo i venditori a offrire sconti più consistenti. Ma questo non significa che ridurranno il flusso di petrolio illecito in modo significativo né ovviamente che lo fermeranno. Tutti i soggetti coinvolti – venditori, compratori e intermediari – sono motivati a trovare percorsi e strategie alternativi. Con il passare del tempo le autorità si stancano, mentre i contrabbandieri diventano più astuti.
Inoltre, non tutti considerano illegale il petrolio russo, iraniano e venezuelano. Per la Cina, l’India e molti paesi in via di sviluppo i barili di questi tre paesi sono come quelli degli altri. D’altro canto i governi che impongono le sanzioni sono incentivati a non colpire troppo duramente, perché vogliono evitare un aumento dei prezzi. All’occidente manca la volontà politica di accettare una conseguenza simile, mentre il sud globale non è più interessato a sostenere Washington, Bruxelles e Londra. Il desiderio di imporre sanzioni più punitive è così debole che perfino il Giappone, di solito allineato agli Stati Uniti, si limita a un’adesione di facciata.
Per capire cosa succederà nel mercato del petrolio è fondamentale conoscere il contesto politico ed economico. Oggi l’attenzione si concentra su Russia e Iran, che insieme estraggono il 15 per cento del greggio mondiale. Di recente il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato di riprendere la campagna di “massima pressione” con l’obiettivo di “ridurre a zero le esportazioni petrolifere iraniane”. Sulla carta è un’azione incisiva, ma Trump ne ha smorzato l’efficacia ammettendo di avere “molti dubbi sulla riuscita” al riguardo. Come se non bastasse, ha sottolineato di non voler alterare il flusso di petrolio.
Pochi giorni dopo la firma, il Tesoro statunitense ha annunciato l’imposizione di sanzioni contro la “rete” usata dall’Iran per aggirare le sanzioni petrolifere statunitensi, ma il provvedimento ha colpito solo una grande petroliera e due imbarcazioni più piccole, mentre negli ultimi giorni l’Iran ha usato più di cinquecento navi.
Condensato e gas
In alcuni casi i venditori faticano a trovare un compratore, ma è solo una questione di tempo (e di uno sconto maggiore sul mercato). Eppure la produzione di petrolio iraniana è vicina ai massimi degli ultimi quarant’anni. Teheran non produce solo greggio, ma anche altri prodotti petroliferi, come il condensato e il gas naturale liquefatto, che sfuggono ancora più facilmente alle restrizioni.
La Russia è sottoposta a sanzioni dall’inizio della guerra in Ucraina, ma i politici occidentali si concentrano più sul tentativo di tenere bassi i prezzi del petrolio che sulla restrizione dei flussi. Nell’ultimo giorno del suo mandato, l’ex presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva modificato questa tendenza, imponendo a Mosca sanzioni senza precedenti. Dopo il trauma iniziale, però, i contrabbandieri hanno trovato una soluzione. Alla Russia sono serviti meno di 25 giorni per aggirare i provvedimenti. Oggi il Cremlino deve solo vendere il suo petrolio a un prezzo più basso e deve pagare di più per il trasporto.
Siamo davanti a un fallimento politico vergognoso, in cui l’inazione viene nascosta dietro una retorica ipocrita. Fino a quando i governi occidentali rifiuteranno di pagare di più per il petrolio, la Russia, l’Iran e il Venezuela continueranno a vendere i loro barili. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati