Raffaella Carrà è diventata immortale alle 16.45 del 5 luglio, quando la notizia della sua morte è piombata in tutte le redazioni, come un colpo elettrico della sua frangia. Carrà aveva fatto innamorare uomini, donne e bambini. La donna che nella tv spagnola regalava centomila pesetas al grido italianissimo di “Hola, Raffaella!” era la stessa che era stata criticata da papa Paolo VI per aver mostrato il suo ombelico mentre ballava il Tuca tuca. Ed era la stessa che aveva trovato il tempo di flirtare con la 20th Century Fox a Hollywood (dove respinse le avance di Frank Sinatra) e di reinventarsi, continuamente, in icona gay, apripista della musica elettronica, presenza fissa di matrimoni e sagre, e colonna sonora di tutte le vite di tutto il mondo.
Raffaella Maria Roberta Pelloni era nata a Bologna il 18 giugno del 1943. Esordì come bambina prodigio nell’Italia in bianco e nero degli anni cinquanta. A otto anni ottenne il primo ruolo nel film Tormento del passato. Già mostrava quella grazia che l’ha accompagnata fino all’ultima intervista rilasciata in Spagna, otto mesi fa, quando è intervenuta al telefono nel programma Sálvame per parlare del film Ballo ballo, basato sui suoi grandi successi. Perché Raffaella Carrà, che non ha mai avuto figli, lascia un’eredità di inni esplosivi come bombe a grappolo.
Non conservava ricordi particolari della sua esperienza a Hollywood. Le persone che la contattarono per portarla negli Stati Uniti volevano creare una nuova Sofia Loren o Gina Lollobrigida; ma Carrà, bellezza effervescente ma morigerata nel modo di vivere, non corrispondeva allo stereotipo dell’italiana esuberante. Non si drogava, non beveva, non alternava gli accompagnatori nelle frizzanti feste sul Sunset boulevard di Los Angeles.
E così, dopo aver recitato in un film e in un episodio della serie Le spie, decise di tornare a casa con la madre. Le assegnarono la conduzione del suo primo show televisivo e cominciò a tessere le fila di un successo che non si è più fermato.
A poco a poco Carrà ha plasmato un personaggio impossibile da classificare: icona sessuale ma allo stesso tempo spiritosa, intelligente e un po’ impacciata, carnale ed elegantissima. Una combinazione esplosiva, capace di inchiodare davanti allo schermo milioni di persone e di far scoppiare l’estate a Ibiza con un remix del dj Bob Sinclair.
Amore per tutti
Per Raffaella Carrà valeva in parte lo stesso discorso che si faceva per Lola Flores, cantante, ballerina e attrice spagnola, su cui circolava una frase attribuita (non si sa se giustamente) al New York Times: “Non balla e non canta, ma non perdetevela”. I suoi primi programmi in Spagna – Hola Raffaella e En casa con Raffaella – sono entrati nella storia della tv e hanno segnato l’inizio di una storia d’amore inarrestabile. La Spagna e la Carrà, unite per sempre.
Per capire la tv degli anni novanta bisogna sedersi sul divano in cui Carrà discuteva in uno spagnolo impossibile con le stelle del momento, e un minuto dopo ci ricordava, se per caso non fosse stato chiaro, che “Para hacer bien el amor hay que venir al sur” (versione spagnola di “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù”).
Raffaella Carrà controllava al millimetro l’immagine di sé che proiettava. Dalle scosse cervicali, suo marchio di fabbrica, fino all’ondeggiamento dell’ombelico, ha sempre messo in chiaro che il suo corpo era solo suo, libero, unico. “Certo che sono femminista”, ha detto una volta, provocando più di un mal di testa in Vaticano. Forse è stato questo carattere indomito a conquistare la comunità lgbt. I gay, sempre a caccia di nuove icone con cui mettere insieme un po’ di libertà e qualche fuoco d’artificio, hanno trovato in quella donna già matura una divinità da piazzare su un altare. Non c’è stata parata del Pride in cui l’italiana non abbia fatto esplodere i carri dei suoi fan adoranti. Al World pride del 2017 a Madrid ritirò un premio dicendo: “L’amore in qualsiasi momento, con qualsiasi persona”.
Sempre molto riservata, è stata una donna di poche ma intense passioni. Da giovane ha avuto una storia con il calciatore della Juventus Gino Stacchini e con il cantante Little Tony, ma i grandi amori, cucinati a fuoco lento, sono stati l’impresario televisivo Gianni Boncompagni e il coreografo Sergio Japino, che il 5 luglio ha dovuto dare il triste annuncio. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1417 di Internazionale, a pagina 43. Compra questo numero | Abbonati