“I taliban sono nati proprio con la propaganda estremista nelle università (…) e mi auguro che qualcuno abbia la decenza di fermare questa pericolosa deriva”. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è abituata a parlare senza mezzi termini, ma anche secondo i suoi parametri la durezza con cui il 29 agosto ha attaccato il professore universitario Tomaso Montanari sulle pagine del Giornale è insolita.

Cosa ha fatto Montanari, storico dell’arte, specializzato nel barocco, nominato in primavera rettore dell’università per stranieri di Siena, per meritarsi le ire della dirigente del principale partito d’opposizione italiano, fino al punto di essere paragonato ai nuovi padroni di Kabul?

Visti dalla Slovenia i massacri del dopoguerra furono l’epilogo di una serie di violenze cominciate nel 1941

Una vicenda strumentalizzata

In un articolo pubblicato il 26 agosto sul Fatto, Montanari aveva contestato il Giorno del ricordo “in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo degli istriani, degli abitanti di Fiume e dei dalmati”, definendo la sua istituzione, voluta nel 2004 dal governo Berlusconi, una “falsificazione storica”. Dopo la pubblicazione dell’articolo, Montanari è stato invitato da più parti a dimettersi ed è stato attaccato non solo dalla destra (Salvini gli ha addirittura consigliato di “farsi curare”) ma, cosa più sorprendente, anche dai centristi di Italia viva (il partito di Matteo Renzi). Di fronte a questa ondata di critiche la sinistra ha risposto con un silenzio imbarazzato.

Questi atteggiamenti dicono molto e meritano di essere chiariti perché da decenni la questione della memoria delle vittime delle foibe viene strumentalizzata, a tal punto da alterare profondamente la percezione degli avvenimenti.

Le foibe sono delle cavità naturali scavate nella roccia calcarea, caratteristiche del suolo carsico intorno a Trieste e all’Istria, ai confini attuali tra l’Italia e la Slovenia. Alla fine della seconda guerra mondiale, mentre stava nascendo la Jugoslavia comunista, in queste grotte avvennero esecuzioni di massa di italiani che abitavano nelle regioni annesse al Regno d’Italia nel 1919.

Queste esecuzioni, cominciate nel 1943, aumentarono tra maggio e giugno del 1945 e continuarono in modo sporadico fino al 1947. Ma mentre all’inizio le esecuzioni avevano un carattere chiaramente politico, ed erano dirette principalmente contro persone compromesse direttamente con il fascismo, nel corso del tempo cambiarono natura per diventare una vera e propria pulizia etnica. Di fatto i massacri delle foibe furono la principale ragione dell’esodo di massa delle popolazioni italiane della regione (alla fine della seconda guerra mondiale circa trecentomila persone furono costrette a lasciare la loro terra).

Dimensione diplomatica

Per decenni la memoria di questo episodio ha fatto fatica a trovare un posto in Italia. Fino agli anni novanta le due principali forze politiche, la Democrazia cristiana e il Partito comunista, erano d’accordo nel non evocare troppo la questione, che rischiava di riaprire le feriti della fine dell’era mussoliniana e di inasprire i rapporti tra l’Italia e la vicina Jugoslavia. E così l’unico partito a ricordare quella tragedia era il Movimento sociale italiano (Msi), erede del Partito fascista e ostracizzato dalle altre forze politiche.

La situazione cambiò radicalmente nel 1994, con la fine della Democrazia cristiana e l’arrivo al potere di Silvio Berlusconi. Deciso a creare una grande coalizione di tutta la destra contro il pericolo “comunista”, l’imprenditore e fondatore di Forza Italia strinse un’alleanza con la Lega nord e con i postfascisti di Alleanza nazionale, eredi dell’Msi.

Ben presto emerse una retorica molto efficace diretta a denunciare i presunti eccessi dell’antifascismo, che sarebbe diventato più pericoloso per la democrazia del fascismo stesso, scomparso alla fine della guerra.

In questo discorso le vittime delle foibe ebbero un ruolo fondamentale, perché obbligavano lo schieramento antifascista a fare i conti con i propri silenzi, mettevano in luce le sue indignazioni a geometria variabile e ricordavano le atrocità compiute dai comunisti.

Così la destra berlusconiana decise di fare della commemorazione delle foibe uno dei suoi temi favoriti e nel 2004 una legge istituì il Giorno del ricordo, che si celebra il 10 febbraio di ogni anno per ricordare i massacri delle foibe e l’esodo degli italiani.

Tre giorni dopo aver subìto il violento attacco dei leader di destra, Montanari ha chiarito le sue affermazioni in un altro articolo. Ha scritto che le sue parole sono state distorte e che per lui l’istituzione della Giornata del ricordo crea un’equivalenza con la Giornata della memoria (della shoah), che le ultime iniziative di Fratelli d’Italia per istituire il reato di negazionismo delle foibe rendono ancora più evidente.

“Nessuno nega i massacri delle foibe, come nessuno nega l’atrocità dei bombardamenti alleati, o delle due atomiche sganciate sul Giappone: ma questo non significa che americani e nazisti fossero sullo stesso piano”, ribadisce lo storico.

Secondo l’opinione oggi prevalente tra gli storici, circa cinquemila persone – fascisti, collaborazionisti ma anche innocenti – furono uccisi dei partigiani di Tito.

La vicenda delle foibe, già così delicata in Italia e soprattutto nella regione di Trieste, ha assunto anche una dimensione diplomatica.

Visti dalla Slovenia, infatti, i massacri del dopoguerra furono l’epilogo di una serie di violenze cominciate nella primavera del 1941, quando le truppe di Mussolini aprirono le ostilità nella regione. Inoltre queste violenze arrivarono dopo un ventennio di italianizzazione forzata della regione e di discriminazioni nei confronti delle popolazioni slave cominciate con l’annessione all’Italia delle terre irredente nel 1919.

Dicendo “Viva Trieste, viva l’Istria italiana e la Dalmazia italiana” in occasione della giornata del ricordo del 2019, Antonio Tajani, all’epoca presidente del Parlamento europeo, provocò un terremoto politico in Slovenia e in Croazia, dove presero quelle parole come una sorta riabilitazione del fascismo.

L’esempio tedesco

Di fronte al silenzio della sinistra italiana, Montanari ha ricevuto sul Fatto del 1 settembre il sostegno dello storico Alessandro Barbero. Per lui l’isolamento di Montanari è la dimostrazione che “è finita la sinistra” e che l’Italia è ben lontana dall’aver fatto i conti con il periodo fascista.

Come ricordare i morti delle foibe e il dolore degli esiliati dell’Istria e della Dalmazia senza dare l’impressione di voler minimizzare la responsabilità storica dei fascisti nella guerra?

Dovendo confrontarsi con lo stesso tipo di memoria dolorosa (12 milioni di tedeschi furono cacciati dall’Europa centrale e orientale dopo la caduta del nazismo), la Germania ha scelto di raccontare questo dramma attraverso un museo, che è stato aperto il 23 giugno nel centro di Berlino, dopo più di vent’anni di polemiche. È stato scelto di non isolare questo fenomeno rispetto alle altre migrazioni forzate della storia contemporanea, dalle guerre greco-turche del 1919-1922 al conflitto siriano. Difficilmente il parallelo tra i profughi del 1945 e quelli del 2021 farà piacere agli attuali difensori – non sempre disinteressati – della memoria dei morti delle foibe. ◆ adr

Sul sito di internazionale si può leggere “La storia intorno alle foibe”, del gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico Nicoletta Bourbaki: intern.az/ 1 ze 0

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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati