“Quello è un macchinario da un milione di euro. Quello lì invece ne vale seicentomila”. Ruben Duarte indica a uno a uno gli ultimi investimenti della Aloft. Poi varca la soglia della fabbrica, aperta nel 1994 nelle campagne di Canidelo, a nord di Porto. “Vedete, qui ne potremo installare altre”, dice il direttore commerciale, mostrando un hangar vuoto e un capannone industriale vicino a un bosco di eucalipti spazzato dal vento dell’oceano Atlantico. Alla Aloft sono attivi una trentina di macchinari, che modellano suole in caucciù o in plastica riciclata. E dal 2017 anche milioni di stivali per la catena di negozi Decathlon. La macchina più recente, la E-Blast, produce suole morbide da una schiuma di azoto. È l’orgoglio di Pedro Joaquim Castro, il proprietario della Aloft. L’acquisto della E-Blast è stato finanziato per il 30 per cento con fondi pubblici del piano di rilancio portoghese adottato dopo la pandemia di covid-19.

Secondo le stime della federazione dei produttori portoghesi di calzature (Apiccaps), entro il 2030 saranno investiti seicento milioni di euro nel settore, che oggi dà lavoro a più di 33mila persone in 1.171 aziende. La metà di questa somma arriverà dai fondi europei, il resto dalle imprese. Dal 2022 il Portogallo è il secondo produttore europeo di calzature, dopo l’Italia e prima della Spagna, ricorda il portavoce della Apiccaps, Paulo Alexandre Gonçalves. In dieci anni le vendite sono aumentate del 14,4 per cento. Nel 2022 la dicitura “made in Portugal” è stata messa su 85 milioni di paia di scarpe.

È ancora una goccia nel mare dei 24 miliardi di paia di scarpe prodotte ogni anno in tutto il mondo, soprattutto in Cina e in Vietnam. L’industria portoghese però ha guadagnato interesse nel 2021 quando, con la pandemia e il lockdown cinese, molti marchi hanno abbandonato i fornitori asiatici. “Nelle nostre fabbriche sono arrivati moltissimi ordini”, ricorda Fernanda Moreira, presidente del sindacato dei lavoratori di calzaturifici e pelletterie (Snpic). È evidente che il settore approfitta del basso costo della manodopera: il salario minimo è di 820 euro al mese, tra i più bassi dell’eurozona. Questa competitività avvantaggia alcuni produttori. Ad Arouca, a sudest di Porto, la tedesca Birkenstock prevede di aprire la sua prima fabbrica fuori della Germania. L’impianto, che dovrebbe essere inaugurato nel 2025, darà lavoro a seicento persone. L’azienda ha investito quindici milioni di euro.

Anche la Bobbies vuole ingrandirsi. L’impianto di Santa Maria da Feira del produttore francese sforna cinquantamila paia di scarpe all’anno, il 30 per cento della sua offerta complessiva. Il resto proviene da tredici aziende subappaltatrici, tutte portoghesi. Il direttore generale Jean-Michel Awad garantisce di poter “raddoppiare i dipendenti” della fabbrica, dove oggi lavorano settanta persone. La valle delle calzature in Portogallo, tra Guimarães e Felgueiras, a nord di Porto, e Santa Maria da Feira, a sud della città, fornisce alla Bobbies tutto quello che serve. “Tacchi, suole, lacci e le fustelle per tagliare le pelli”, ma anche “le competenze” per fabbricare modelli in pelle, spedirli nel suo magazzino in Francia e venderli a più di 150 euro, online e nei suoi negozi.

Modelli tecnici

Scarpe sportive, calzature per bambini, modelli tecnici per gare di atletica. Ormai in Portogallo si producono calzature di ogni genere. Il marchio Salomon, pur essendo di proprietà del colosso cinese Anta Sports, vuole dimostrare che è possibile fabbricare una scarpa da ginnastica in Europa: compra dalla Aloft le suole di un modello sviluppato in Francia. La Veja, il marchio francese di scarpe da ginnastica che si era sempre rivolto a fabbriche brasiliane, nel 2022 ha scelto di avviare la sua produzione europea in Portogallo. Sulla stessa linea di produzione si notano un paio di marchi più lussuosi, tra cui Hugo Boss e Canada Goose. André Ribeiro, direttore della Ambitious a Guimarães, esporta scarpe da ginnastica anche negli Stati Uniti.

“Per sopravvivere alla concorrenza asiatica, l’industria portoghese deve salire di livello”, sostiene Alexis Maugey, uno dei fondatori della Bobbies. Oggi la quota portoghese del mercato europeo è a rischio. In dieci anni, a causa dell’aumento delle importazioni asiatiche di modelli a basso costo e della moda delle scarpe da ginnastica, la produzione di calzature in Europa è diminuita del 20 per cento. Le aziende portoghesi devono quindi convincere i marchi del lusso che “prima dicevano: ‘O si produce in Italia o niente’”. D’altro canto quei marchi sono già qui. La Louis Vuitton usa tre fabbriche a Ponte de Lima dal 2011 e a Santa Maria da Feira e Panafiel dal 2020. Gli operai cuciono gambali che saranno poi assemblati alle suole per dare forma a calzature firmate Louis Vuitton. “La finitura sarà realizzata in Italia”, spiega un dirigente. D’altro canto la pressione si è fatta ancora più forte da quando, dopo il 2022, si è avuto un peggioramento della situazione economica in Europa, dove i consumatori comprano meno scarpe.

Le fabbriche portoghesi esportano più del 90 per cento della loro produzione. Nel febbraio 2023 la chiusura di 163 negozi del marchio San Marina in Francia ha messo in ginocchio uno dei suoi fornitori storici. Per far fronte a una fattura non pagata da 1,5 milioni di euro, il fornitore ha ridotto del 30 per cento i dipendenti dell’impianto di Oliveira de Azeméis. Il 1 gennaio 2025 il salario minimo portoghese sarà portato a 870 euro ed entro il 2028 dovrà arrivare a 1.020 euro. È la risposta del governo al malcontento dei portoghesi, schiacciati dall’inflazione e dalla diminuzione del potere d’acquisto. Per il momento i marchi che se la cavano meglio non temono l’aumento dei salari. Tuttavia il proprietario della Aloft e vicepresidente della Apicapps Pedro Cairo garantisce che il settore è costretto a proporre modelli di fascia alta per non dipendere più da “marchi che sono attratti soprattutto dalla manodopera a basso costo”.

Intanto, però, gli operai temono che a fare le spese di questa pressione saranno i salari. La manodopera costituisce tra il 25 e il 30 per cento del costo di produzione di un paio di scarpe. “È un circolo vizioso di cui i lavoratori saranno i primi a subire le conseguenze”, osserva Fernanda Moreira, del sindacato Snpic, che si batte per ottenere compensi superiori al salario minimo. “Oggi prendo 964 ero al mese”, dice Moreira. “Dopo quarant’anni di carriera”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 99. Compra questo numero | Abbonati