Ancora un giro di vite. In Iran il governo conservatore vuole usare il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici per identificare le donne che violano le regole sull’abbigliamento. Dopo l’arrivo al potere del presidente Ebrahim Raisi nell’agosto 2021 le autorità sono diventate più severe, imponendo nuove misure per controllare la popolazione. In particolare le donne. Anche se i movimenti che osano opporsi a questa svolta autoritaria hanno una portata limitata, alcune iraniane pagano molto caro il loro impegno, con arresti, torture e condanne a morte. “La decisione di usare il riconoscimento facciale per controllare l’abbigliamento delle donne mostra la paura della Repubblica islamica di fronte alle manifestazioni popolari e alla possibilità di una nuova rivoluzione”, osserva Fariba Parsa, ricercatrice del Middle East institute di Washington.
Il governo ha deciso di affrontare questi timori reprimendo qualunque dissenso. Il 5 settembre un rapporto ufficiale citato dall’agenzia di stampa iraniana Fars ha rivelato che più di trecento persone sono state arrestate per essersi opposte all’uso del velo obbligatorio, senza precisare la data o il luogo degli arresti.
Quest’estate alcune donne hanno guidato un’ondata di disobbedienza togliendosi il velo sui social network. Il loro obiettivo era contestare la direttiva del 5 luglio che inasprisce l’obbligo di portare l’hijab, in vigore dalla rivoluzione islamica del 1979. Questo inasprimento riguarda tutte le donne, qualunque sia la loro religione. “In 44 anni la Repubblica islamica non è riuscita a costringere le donne a seguire le direttive del codice di abbigliamento”, ricorda Fariba Parsa. Mentre prima le iraniane dai nove anni in su dovevano uscire con il capo velato e il corpo coperto da un vestito largo e lungo, ora sono obbligate a indossare un velo che copra non solo i capelli, ma anche il collo e le spalle.
Come se non bastasse, il regime ha istituito la “giornata nazionale dell’hijab e della castità” il 12 luglio, proprio mentre rafforzava obblighi e controlli. Le funzionarie pubbliche potranno essere licenziate se le loro foto sui social network saranno giudicate non conformi alla sharia (la legge islamica), e tutte le iraniane che pubblicano immagini di sé senza hijab potranno essere private di alcuni diritti sociali per un periodo che va da sei mesi a un anno.
L’accesso alle istituzioni pubbliche potrà inoltre essere negato a chi non si conforma alle nuove regole in tema di abbigliamento. È successo a Mashhad, una città nel nordest dell’Iran, dove le autorità di recente hanno vietato alle dissidenti l’accesso alla metropolitana. La polizia che veglia sulla morale, incaricata di far rispettare queste leggi, sembra aver ripreso forza, mostrandosi più attiva ma anche più violenta, secondo la piattaforma Radio Free Europe/Radio Liberty, finanziata dal congresso statunitense. Si sono anche avute notizie di sequestri di donne, torture in carcere e confessioni forzate.
1979 La rivoluzione iraniana rende obbligatorio l’hijab, il velo che copre la testa, per le donne che hanno compiuto nove anni.
5 luglio 2022 Il governo approva una direttiva che impone nuove restrizioni sull’abbigliamento femminile. In particolare prevede punizioni per chi usa l’hijab “in modo improprio”, per esempio lasciando uscire ciocche di capelli. Inoltre stabilisce che il velo deve coprire anche il collo e le spalle e vieta alle dipendenti pubbliche di indossare calze e scarpe con il tacco.
12 luglio È istituita la “giornata dell’hijab e della castità”. Alcune attiviste lanciano una campagna sui social network invitando le donne a pubblicare foto senza velo.
15 agosto Un nuovo decreto impone ulteriori obblighi e punizioni per chi non si conforma al codice di abbigliamento.
30 agosto In un’intervista in tv Mohammad Saleh Hashemi Golpayegani, segretario dell’Organizzazione per la promozione della virtù e per la repressione del vizio, annuncia che il governo prevede di usare il riconoscimento facciale per individuare le donne vestite in modo improprio nei luoghi pubblici. Radio Farda
Alla fine di luglio l’artista Sepideh Rashno, 28 anni, è apparsa alla televisione di stato, velata e debilitata, per scusarsi pubblicamente dell’incidente per cui era stata arrestata a metà giugno. Si trovava a bordo di un autobus senza velo ed era stata rimproverata da un’altra passeggera che aveva ripreso la scena minacciando di inviare il video ai Guardiani della rivoluzione. Il filmato aveva fatto il giro dei social network, facilitando probabilmente l’arresto della giovane, provvisoriamente liberata su cauzione alla fine di agosto.
Controllo di massa
Mohammad Saleh Hashemi Golpayegani, segretario dell’Organizzazione per la promozione della virtù e per la repressione del vizio, ha annunciato il ricorso al riconoscimento facciale in un’intervista andata in onda il 30 agosto, ammettendo per la prima volta che questa tecnologia fa parte dei sistemi iraniani di sorveglianza. In realtà, sembra che il suo uso risalga a molto prima. Già nel 2020 l’organizzazione Minority rights group international, di Londra, affermava che “il governo iraniano usa la tecnologia di riconoscimento facciale per identificare e arrestare manifestanti e dissidenti politici, e la raccolta di dati biometrici potrebbe fornirgli gli strumenti per farlo ancora più efficacemente”. Infatti Teheran ha cominciato nel 2015 a emettere carte d’identità biometriche dotate di un chip contenente la scansione della retina, le impronte digitali e le immagini facciali dell’individuo.
Questo controllo di massa non può passare sotto silenzio, nonostante le concessioni fatte alle donne dietro le pressioni internazionali, come la possibilità di assistere per la prima volta a una partita di calcio alla fine di agosto.
Nel mirino del regime ci sono anche le minoranze etniche e le comunità emarginate, come quella lgbt, discriminate e criminalizzate. Il 5 settembre alcune organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno rivelato che la settimana precedente, nella città di Urmia, sono state condannate a morte due omosessuali e attiviste della comunità lgbt, Zahra Sedighi Hamedani, 31 anni, ed Elham Chubdar, 24, accusate di diffondere “corruzione sulla Terra”. Conosciuta sui social network con il nome di Sareh, Sedighi Hamedani era comparsa in un documentario della versione in persiano della Bbc nel maggio 2021. È stata arrestata alla fine di ottobre di quell’anno, mentre tentava di attraversare il confine con la Turchia. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati