L’Italia ha aperto due centri in Albania, dove tratterrà gli uomini intercettati in acque internazionali che tentano di arrivare dall’Africa in Europa. Fabrizio Bucci, ambasciatore italiano a Tirana, ha dichiarato che i centri ospiteranno i migranti in attesa che le loro domande di asilo siano esaminate. In base a un accordo controverso, criticato dalle organizzazioni per i diritti umani ma tacitamente appoggiato dall’Unione europea, nei centri potranno essere portati fino a tremila uomini al mese. Nel frattempo in Italia saranno esaminate le loro richieste di asilo. Bambini, donne e persone vulnerabili continueranno a sbarcare in Italia.

L’accordo è stato firmato nel novembre 2023 dalla presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama. All’epoca Meloni aveva promesso che, in cambio dell’aiuto di Rama, avrebbe fatto il possibile per sostenere l’adesione dell’Albania all’Unione europea. Per Meloni, che in passato ha detto che l’Italia dovrebbe rimpatriare i migranti e “affondare le navi” che li hanno salvati, il piano serve per ridurre gli sbarchi in Italia. “L’elemento di maggiore utilità di questo progetto è il fatto che può rappresentare uno straordinario strumento di deterrenza per chi vuole raggiungere irregolarmente l’Europa”, aveva detto a giugno, aggiungendo che “l’accordo si può replicare in molti paesi, diventando parte della soluzione strutturale dell’Unione europea” alla crisi migratoria.

I centri sono costati all’Italia 670 milioni di euro. Li gestirà Roma e saranno sotto la sua giurisdizione. Gli albanesi si occupano della sicurezza esterna.

Un centro per i migranti soccorsi in mare è stato aperto a Shëngjin, 75 chilometri a nord di Tirana, l’altro è 25 chilometri a sud di Shëngjin, vicino all’ex aeroporto militare di Gjadër. Meloni ha detto che i funzionari cercheranno di esaminare le richieste di asilo entro ventotto giorni, molto più rapidamente di quanto avviene oggi in Italia. L’Albania esaminerà solo le richieste di chi proviene da paesi che l’Italia considera sicuri, ventuno nazioni tra cui Bangladesh, Egitto, Costa d’Avorio e Tunisia. L’anno scorso da questi paesi sono arrivate in Italia 56.588 persone. Si prevede che la maggioranza delle richieste sarà respinta, proprio perché i paesi sono considerati sicuri. Chi si vedrà respinta la richiesta sarà trattenuto in attesa di un eventuale rimpatrio. Chi invece avrà la richiesta accolta sarà portato in Italia.

La Guantánamo italiana

Gli operatori umanitari hanno duramente criticato l’accordo. Il loro timore è che i centri si riempiano di persone in attesa del rimpatrio. Per Medici senza frontiere (Msf) l’accordo va “un passo oltre” alle precedenti intese tra i paesi dell’Unione europea e gli stati che non ne fanno parte, come Turchia, Libia e Tunisia. “L’obiettivo non è solo scoraggiare le partenze, ma impedire alle persone di fuggire e, a chi è soccorso in mare, di avere un accesso rapido e sicuro in Europa”, afferma Msf .

“Stanno creando una sorta di Guantánamo italiana, fuori da ogni standard internazionale, fuori dall’Unione europea, senza la possibilità di monitorare lo stato di detenzione. L’Italia non può trasportare chi soccorre in mare in un paese che non fa parte dell’Unione, come se fosse un pacco o una merce”, ha detto Riccardo Magi, presidente di Più Europa.

Il 14 agosto l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, che si è detta seriamente preoccupata per l’accordo, ha accettato di monitorare i primi tre mesi di attività dei centri, per “salvaguardare i diritti e la dignità delle persone trattenute”. Per alcuni albanesi l’accordo è un ringraziamento all’Italia per aver accolto migliaia di persone in fuga dalla povertà dell’Albania dopo la caduta del comunismo nel 1991.

Michael O’Flaherty, commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, ha affermato che l’accordo potrebbe costituire un pericoloso precedente: “Lo spostamento di responsabilità oltre confine da parte di alcuni stati incentiva anche altri a fare lo stesso, rischiando un effetto domino che potrebbe minare il sistema europeo e globale di protezione internazionale”. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati