“Non puoi comportarti come una persona normale?”. “Per colpa delle femministe come te ho paura di uscire con le donne, non ho neanche il coraggio di scrivere a una online, pensando ‘e se poi è una femminista?’”. “Si capisce dalla faccia che una è femminista”. “Le donne che sono amate e ricevono attenzioni non diventano femministe”. Kim Min-jung, 29 anni, legge a voce alta la lista infinita dei commenti pubblicati sul suo canale YouTube. Poi alza lo sguardo dal cellulare. “È lo stesso tipo di commenti che ricevo su Instagram e TikTok”, dice rassegnata.
Per molti anni Kim ha usato i suoi profili sui social network per fare informazione sulla parità di genere. Ma questo ha avuto un prezzo. La Corea del Sud è forse lo stato al mondo dove la parola femminismo assume le peggiori connotazioni e, soprattutto negli ultimi anni, la “maschiosfera” si è spostata dalle chat alla strada.
Questa esaltazione della mascolinità è guidata da organizzazioni che credono nell’armonia tra i sessi più che nella parità di genere e considerano il femminismo una malattia mentale. Una di queste, New men’s solidarity, ha il sostegno di giovani uomini che trovano ingiusto, nella feroce competizione della società sudcoreana, dover prestare un anno e mezzo di servizio militare mentre le loro coetanee entrano nel mercato del lavoro, e sono arrabbiati per tutto, dai vagoni della metropolitana riservati alle donne alle quote rosa fino al ministero per le pari opportunità.
Dall’altro lato ci sono le donne, stanche dei ruoli tradizionali e della disparità di trattamento sul lavoro e furiose per le telecamere nascoste nei bagni pubblici, le molestie sessuali, lo stalking, i partner violenti e gli scandali legati al #MeToo, come quello che nel 2020 ha fatto cadere il sindaco di Seoul e l’ha portato al suicidio. Il dibattito è più acceso che mai.
Le donne che portano i capelli corti e non si truccano sono bollate come misandre (donne che odiano gli uomini) e femministe. Nello scontro, alcune si rasano i capelli e si dichiarano lesbiche per scelta politica, e usano slogan come “gli uomini sono o cani o bambini” e “tutti gli uomini sono dei vermi”. Al tempo stesso deridono tutto quello che riguarda gli uomini coreani, dalla leva militare obbligatoria ai genitali.
La lotta ha raggiunto il parlamento ed è stata uno dei temi centrali nel dibattito che ha preceduto le presidenziali dello scorso marzo.
Le elezioni sono state vinte da Yoon Suk-yeol, candidato del partito conservatore, che in campagna elettorale aveva incolpato le femministe per la bassa natalità in Corea del Sud e promesso di chiudere il ministero per le pari opportunità.
La storia di Kim
Erano quasi le tre del mattino quando Kim Min-jung ha lasciato la stanza dove studiava. La ragazza, 14 anni, aveva passato tutta la sera e gran parte della notte a studiare per l’esame d’ammissione alle superiori e stava tornando a casa dai genitori in un quartiere residenziale a pochi isolati di distanza. “Mentre camminavo, improvvisamente uno sconosciuto mi ha afferrato da dietro e ha sussurrato: ‘Se non stai zitta ti uccido’”, racconta. Kim è rimasta paralizzata dalla paura, ma questo non le ha impedito di urlare con tutte le sue forze. “Pensavo che comunque mi avrebbe ammazzato. Tanto valeva gridare”. I genitori di Kim non erano ancora a letto e sentendo le urla della figlia sono corsi fuori. L’uomo ha lasciato la presa e ha cominciato a scusarsi con loro dicendo: “Sono nuovo nel quartiere e ho solo chiesto indicazioni a vostra figlia”, fingendosi ubriaco. Ma era assolutamente sobrio. Il padre di Kim ha mandato a casa moglie e figlia. Cosa si siano detti i due, Kim non lo sa. Suo padre non ha mai più parlato dell’episodio e lo sconosciuto se l’è cavata con un semplice avvertimento.
“Molte ventenni o trentenni come me hanno vissuto un’esperienza simile”, spiega Kim. “Ci siamo abituate agli abusi e alle molestie sessuali da parte di insegnanti maschi, di sconosciuti per strada, di telecamere nascoste che ci riprendono quando andiamo in bagno, e se denunciamo questi fatti alla polizia non succede niente”. Racconta di essersi trovata più volte in situazioni in cui gli uomini le hanno fatto temere per la sua vita. Una volta un rider aveva preso il suo numero di telefono dal ristorante dove lei aveva ordinato da mangiare e poi le aveva scritto e l’aveva chiamata. “Quando l’ho denunciato alla polizia, mi hanno chiesto se avevo chiuso la porta e le finestre. Quando ho detto di sì, mi hanno risposto che allora ero al sicuro. Tutto qui. A meno che non ci scappi il morto, alla polizia non interessa. La sensazione è che le cose non cambieranno mai”.
Nel 2016 a Seoul un uomo di 34 anni uccise a coltellate una ragazza scelta a caso motivando il gesto con l’odio per le donne, che l’avevano sempre ignorato. I mezzi d’informazione si occuparono ampiamente di quell’episodio e fu l’inizio del #MeToo in Corea del Sud. Grazie a quel movimento – per cui le donne per la prima volta parlavano apertamente degli abusi subiti sui posti di lavoro, a scuola e nei locali notturni – Kim Min-jung ha deciso di diventare femminista. Vuole contribuire a denunciare la violenza contro le donne e a creare una società migliore. Lo fa attraverso l’attività politica locale, le manifestazioni individuali e i social network.
Per gli uomini di età avanzata le donne sono deboli e vanno protette, per i più giovani sono concorrenti ingiustamente avvantaggiate
Onda d’urto
Da dieci anni il giornalista britannico Raphael Rashid si occupa di questioni sociali in Corea del Sud. A suo parere, se la disparità di genere è sempre stata un problema, il dibattito non è mai stato così acceso come negli ultimi due anni: “Il #MeToo ha provocato un’onda d’urto nella società coreana, e gli uomini non se l’aspettavano. Il movimento ha dato voce alle donne e ora molti uomini stanno dicendo ‘e io?’, come una sorta di #MenToo”.
La Corea del Sud è agli ultimi posti per quanto riguarda le pari opportunità. Le statistiche del World economic forum e della World population review collocano il paese più in basso rispetto a Etiopia, Kenya ed Emirati Arabi Uniti. Nonostante questo, sostiene Rashid, molti giovani uomini si sentono esclusi: “Pensano di essere discriminati e svantaggiati nella ricerca della casa, nella carriera, perché non ottengono i posti di lavoro migliori e nell’obbligo del servizio di leva”.
Questo ha spianato la strada alle organizzazioni antifemministe. All’inizio sono nati forum online, ma poi la New men’s solidarity in particolare è diventata popolare. L’organizzazione, nata nel 2021, oggi ha quasi mezzo milione di follower su YouTube. Il suo leader, Bae In-kyu, è riuscito a staccare gli uomini dagli schermi del computer portandoli in strada per partecipare a grandi manifestazioni antifemministe.
“Secondo me quasi tutte le femministe sono misandre”. Bae, 31 anni, parla con un tono rilassato. Sorride allo youtuber Leonid, che lo sta intervistando. In pochi mesi l’uomo, conosciuto anche come Wangia (“principe” in coreano), è diventato popolare in tutto il paese per le manifestazioni in cui è riuscito a coinvolgere migliaia di uomini. Aspetto curato, affascinante e con un bel maglione nero, è difficile immaginare che solo pochi mesi prima andasse in giro con un costume da Joker e una pistola ad acqua a molestare le manifestanti femministe. “Guardate tutte queste femminaziste. Brave, scappate! Almeno vi muovete un po’”, gridava allora sparando acqua sulle dimostranti. Il tutto ripreso e pubblicato in diretta sul canale YouTube dell’organizzazione. “Ho voluto aggiungere un po’ d’intrattenimento per attirare l’attenzione. Fico Joker, no?”, spiega nella videointervista. “È stato un grande successo”.
Bae dice di non essere contro i diritti delle donne. Afferma che donne e uomini sono diversi per natura, per questo sostiene quella che chiama “l’armonia tra i sessi”, più che la parità. “Donne poliziotto, donne pompiere, loro (le femministe) vogliono la parità su tutto, ignorando le differenze fisiche tra maschi e femmine”, dice Bae. “Certo, dobbiamo appoggiare una forma giusta di femminismo. Ma ci sono sempre più organizzazioni che avanzano queste richieste ridicole, e se lo facciamo notare ci bollano subito come maschilisti. È un fenomeno globale”.
Bae riconosce che storicamente le donne in Corea sono state vittime di oppressione, “ma oggi la situazione si è ribaltata. Sono convinto che ora sono gli uomini a essere discriminati. Le donne sostengono che ‘tocca all’uomo comprare la casa quando ci si sposa’. Va bene, lo accetto. Gli uomini devono fare il servizio militare senza nessun vantaggio in cambio. Anche questo lo accetto. Ma per colpa delle femministe che chiedono più diritti per le donne, gli uomini coreani sono sottoposti a una pressione esagerata”.
Molti esperti spiegano che c’è stato un cambiamento tra la vecchia e la nuova generazione di maschi coreani. Un sondaggio condotto nel 2019 su tremila uomini dal ricercatore Ma Kyung-hee mostra che, mentre quelli più avanti con l’età giudicano le donne individui deboli da proteggere, i più giovani le vedono come concorrenti ingiustamente avvantaggiate.
Gran parte del loro risentimento è dovuto al servizio di leva. In Corea del Sud gli uomini sono obbligati a prestare servizio militare per un minimo di 18 mesi; in un sondaggio del 2018 che coinvolgeva maschi ventenni, il 72 per cento degli intervistati considerava quest’obbligo sessista. I ventenni pensano che mentre loro perdono un anno e mezzo di vita, le coetanee hanno la possibilità di avviare la carriera. E le statistiche confermano queste preoccupazioni. Mentre il tasso di disoccupazione nel paese è al 3,8 per cento, tra gli uomini di vent’anni è del 9,9 per cento, il livello più alto tra tutte le età e i generi. L’85 per cento dei giovani uomini è contrario o fortemente contrario al femminismo, secondo il libro pubblicato nel 2019 dal giornalista Cheon Gwan-yul e dall’informatico Jeong Han-wool, Uomini di vent’anni.
La massa di follower di Bae In-kyu dimostra che molti sono d’accordo con lui. Un sondaggio condotto una sera nel quartiere Gangnam a Seoul lo conferma. La parità di genere è un tema molto delicato e la maggior parte degli intervistati ha accettato di partecipare solo in forma anonima. “Negli ultimi anni le sentenze dei tribunali e la politica hanno favorito le donne. In particolare, molti uomini sono stati falsamente accusati di molestie sessuali e arrestati senza prove. I giudici danno ascolto solo alle accuse, così ci sono state migliaia di condanne ingiuste”, afferma un ragazzo di 21 anni. “Molte donne ci trattano come spazzatura. E molte femministe non hanno alcun rispetto per gli uomini, li odiano”, dice un altro di 26. “So che il femminismo tecnicamente vuole l’uguaglianza tra i generi, ma oggi significa che le donne devono essere trattate meglio degli uomini”, dice un ragazzo di 28 anni.
I politici hanno capito da tempo che dal dibattito sulle questioni di genere si possono guadagnare voti
Reazione radicale
Molti giovani si riconoscono nella New mens’s solidarity e in Bae In-kyu, racconta Rashid, che arriva a definire Bae una specie di guru. Diversa è la situazione per le donne, a suo parere, perché sono male organizzate: “Ci sono troppi gruppi femministi, tutti con idee e obiettivi diversi”. Tra le associazioni più radicali ci sono Megalia e Womad. Megalia, più volte censurata, è nata nel 2015 come uno dei primi gruppi femministi, con lo scopo di opporsi al linguaggio sessista di un forum online. Il logo è una mano dove il pollice e l’indice vicini indicano la dimensione dei genitali degli uomini coreani. Ha suscitato scalpore vedere lo stesso gesto – le due dita che stringono una piccola salsiccia – in una pubblicità della catena di chioschi GS25. L’azienda ha dovuto ritirare la pubblicità.
Il forum Womad, invece, è finito più volte al centro dell’attenzione dopo che alcune donne avevano postato messaggi in cui affermavano di aver ucciso o tentato di uccidere degli uomini. Nel 2017 fece scalpore il post di un’utente che raccontava di aver violentato un ragazzo australiano. Aveva pubblicato foto del ragazzo nudo e, secondo quanto riportato dal Korea Herald, un centinaio di utenti replicarono che avrebbero pagato per vedere un video dell’aggressione.
Sia Megalia sia Womad hanno organizzato manifestazioni, alcune con più di diecimila partecipanti. Tra le più importanti c’è stata la marcia con lo slogan “La mia vita non è il tuo porno”, voluta nel 2018 da Womad. In quell’occasione arrivarono a Seoul coreane da tutto il paese per protestare contro le telecamere nascoste che degli uomini installavano nei luoghi pubblici (bagni, spogliatoi e camere d’albergo) per riprendere le donne a loro insaputa. Alcuni di quei video sarebbero finiti su siti internet illegali.
Durante le manifestazioni le partecipanti si rasavano i capelli per protesta e alcune raccontavano di essere “diventate lesbiche per ragioni politiche”. La ricercatrice Lee Hyu-jae ha descritto questa tendenza emersa nel 2019, quando gruppi universitari di femministe avevano affermato che l’omosessualità era il miglior modo di mostrare solidarietà e difendersi dal patriarcato.
L’antifemminismo rende bene
Secondo Raphael Rashid, Megalia e Womad sono responsabili della cattiva fama di cui gode il femminismo in Corea del Sud: “Le due organizzazioni non rappresentano la maggioranza delle femministe nel paese, ma la loro frangia più radicale. Purtroppo molti politici e mezzi d’informazione identificano il femminismo con Megalia”. Lo fanno in particolare gli uomini coreani, e questo a scapito sia degli altri gruppi femministi sia delle donne, famose o meno, che hanno parlato pubblicamente dei diritti delle donne o che “sembrano” femministe.
“Quando noi (uomini) vediamo una donna con i capelli corti, inevitabilmente ci chiediamo ‘è una femminista? È un’estremista?’”, racconta Bae In-kyu a Leonid. Lo youtuber spiega perché molte donne famose hanno subìto persecuzioni online per il loro look femminista, che consiste in capelli corti, niente trucco e abiti comodi. Nel 2021 è scoppiato uno scandalo sui mezzi d’informazione coreani quando la ventenne An San, vincitrice di due medaglie d’oro nel tiro con l’arco alle Olimpiadi di Tokyo, si è presentata ai Giochi con i capelli corti.
“Nel 90 per cento dei casi le donne che frequentano le università femminili e hanno i capelli corti sono femministe. Per questo non la difendo. Io le femministe le odio con tutto il cuore”, ha scritto un uomo in un forum suscitando l’approvazione di molti utenti, che gli hanno consigliato di evitare le donne con i capelli corti e hanno detto di tollerare An San solo perché faceva parte della nazionale olimpica.
Il South China Morning Post scrive che anche la famosa youtuber Jaejae è caduta in disgrazia dopo che nel maggio 2021 era stata fotografata sul red carpet di un festival cinematografico con i capelli corti mentre mangiava cioccolata. Il modo in cui teneva la tavoletta poteva ricordare il gesto che indica un pene piccolo. In seguito a quella foto sono state raccolte 91mila firme per chiedere al presidente coreano di vietare a Jaejae di andare in tv.
Secondo Rashid il dibattito sulla disuguaglianza di genere in Corea del Sud è così acceso principalmente per motivi economici. Le discussioni online sono state riprese dalla stampa sensazionalistica e strumentalizzate da politici e cittadini: “Un grande problema in Corea del Sud sono i mezzi d’informazione, che sono molto poco etici e non rispettano le regole di base. Usano titoli provocatori e gonfiano le storie a dismisura solo per fare soldi”. In questo modo i lettori formano le loro opinioni su notizie distorte che enfatizzano lo scontro.
E uomini come Bae In-kyu ne approfittano: “La New men’s solidarity chiede di continuo ai suoi sostenitori di mandare offerte, e molti giovani soli o senza idee chiare ci cascano. Divulgando l’antifemminismo si può guadagnare bene”.
◆ “La Corea del Sud è considerata un miracolo economico, data la rapidità della sua crescita dai primi anni cinquanta, dopo la guerra di Corea, a oggi”, si legge nel rapporto dell’organizzazione Human rights watch (Hrw) sui crimini sessuali digitali nel paese, pubblicato nel 2021. “La Corea del Sud è ai primi posti nel progresso tecnologico; oggi ha il più alto tasso di adulti che possiedono uno smartphone e una delle più veloci reti di connessione a internet, e il 99,5 per cento delle famiglie ha accesso alla rete. Ma a questo sviluppo non si è accompagnato un altrettanto rapido avanzamento nell’uguaglianza di genere. I tradizionali valori patriarcali confuciani, che enfatizzano la gerarchia e l’armonia sociali, rimangono profondamente radicati. La posizione della donna è ritenuta inferiore a quella dell’uomo, e la sua reputazione è legata a un’idea di ‘purezza sessuale’”, spiega il rapporto. “La violenza di genere è molto diffusa (riguarda una sudcoreana su tre) e il paese ha lo stesso tasso di suicidi tra uomini e donne, una rarità a livello mondiale. Nel 2008 meno del 4 per cento delle violenze implicava filmati illegali, ma nel 2017 il numero di questi casi è aumentato di undici volte, da 585 a 6.615, arrivando a costituire il 20 per cento dei crimini sessuali”. Piccole videocamere installate in bagni pubblici, spogliatoi e camere d’albergo, ma anche in luoghi di lavoro, scuole e università, sono usate per catturare e poi diffondere a scopo di lucro immagini intime di donne inconsapevoli. Il governo, continua il testo, non ha fatto abbastanza per contrastare il fenomeno. Le donne che cercano giustizia incontrano spesso molti ostacoli: la polizia si rifiuta di accogliere le loro denunce e si comporta in modo offensivo, minimizza il danno, le biasima per l’abuso subìto, tratta le immagini in modo insensibile e le interroga in modo inappropriato. Quando un caso arriva in tribunale, spesso viene abbandonato.
Anche i politici hanno capito da tempo che dal dibattito sulle questioni di genere si possono guadagnare voti. Quando nel 2017 il presidente Moon Jae-in s’insediò, giurò di diventare un “presidente femminista”, che avrebbe lottato per una maggiore uguaglianza di genere in Corea del Sud. La scorsa primavera, alle elezioni presidenziali, la scelta era tra il candidato del partito conservatore Yoon Suk-yeol e il candidato del partito progressista di Moon, Lee Jae-myung. Uno dei temi centrali della campagna elettorale è stata la disuguaglianza di genere.
Yoon, che poi ha vinto le elezioni, ha subito messo in chiaro di stare dalla parte dei giovani uomini. Sostenuto dalla New men’s solidarity, ha più volte fatto dichiarazioni che sono state percepite come antifemministe, per esempio attribuendo la colpa del basso tasso di fecondità nel paese al femminismo e sostenendo che questo movimento “impedisce una sana relazione tra uomini e donne”. Inoltre Yoon, ex procuratore, ha promesso di inasprire le pene per chi muove false accuse di violenza sessuale, un tema che sta a cuore a molti coreani.
In Corea del Sud il #MeToo ha fatto cadere molti uomini di potere, da star del k-pop a politici di spicco, come il sindaco di Seoul, Park Won-soon, ex avvocato per i diritti umani e attivista per la parità di genere che si è ucciso due giorni dopo che la sua segretaria l’aveva denunciato per molestie sessuali.
La campagna di Yoon contro le false accuse di reati sessuali preoccupa molte organizzazioni femministe, perché rischia di scoraggiare ancora di più le donne che subiscono le violenze sessuali e che quindi rinunciano a denunciarle. Inoltre Yoon ha promesso di chiudere il ministero delle pari opportunità, in quanto pieno di funzionarie che trattano tutti gli uomini come “potenziali criminali sessuali”.
Senza garanti
Alle elezioni di marzo il 58 per cento delle ventenni ha votato per il candidato progressista Lee Jae-myung, mentre il 58 per cento dei coetanei maschi ha votato per Yoon, che ha vinto per soli 0,7 punti percentuali. Il 10 maggio è stato l’ultimo giorno di lavoro per il “presidente-femminista” Moon Jae-in. Yoon Suk-yeol ha formato un governo con due sole ministre e 18 ministri, e il ministero per le pari opportunità rischia di essere chiuso.
Centosedici organizzazioni internazionali della società civile, guidate da Human rights watch, hanno rivolto un appello a Yoon chiedendogli di ripensarci: “Durante la campagna elettorale, Yoon e il Partito del potere popolare hanno fomentato e sfruttato il sentimento antifemminista invece di proporre soluzioni politiche ragionevoli ai problemi sociali reali come l’aumento delle disuguaglianze economiche a causa della pandemia, la discriminazione di genere e la violenza nella società”, si legge nell’appello.
Secondo Rashid, la chiusura del ministero avrebbe un grave impatto sulla credibilità della Corea del Sud a livello internazionale. “E poi c’è una questione centrale: senza un ministero per l’uguaglianza di genere, come pensa Yoon di garantirla?”. ◆ pb, fc
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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati