A mezzanotte il sole polare era ancora alto nel cielo e non tirava vento. Non c’era nemmeno quella nebbia gelida che può impedire agli aerei di sorvolare queste aree remote e disabitate per giorni, se non settimane. Alla fine di luglio eravamo in viaggio con la spedizione scientifica Leister expedition around North Greenland 2021, organizzata e finanziata dall’imprenditrice svizzera Christiane Leister. Il gruppo era composto da tre ricercatori svizzeri e tre dell’università di Copenaghen: l’esperto di ecologia microbica Anders Priemé, il direttore del Centro per il permafrost Bo Elberling e la biologa evoluzionista Elise Biersma, che lavora per il museo di storia naturale di Copenaghen e per il British antarctic survey di Cambridge.
La notte del 27 luglio abbiamo visitato le parti più settentrionali della Groenlandia e, di conseguenza, del mondo. Alcuni di noi hanno preso l’elicottero con l’obiettivo di trovare l’isola di Oodaaq, in groenlandese Oodaap qeqertaa, considerata la più settentrionale del pianeta. Il resto del gruppo, invece, ha proseguito con il piccolo aereo della spedizione fino a capo Morris Jesup, l’estremo nord sulla terraferma. L’elicottero ha sorvolato per un’ora la penisola di Peary Land superando maestosi paesaggi montuosi, per poi fare una breve ricognizione nella zona di acque basse che si estende poco sopra la costa della Groenlandia. Lì il pilota ha localizzato quella che tutti pensavamo fosse l’isola di Oodaaq.
Dopo aver scandagliato l’area alla ricerca di orsi polari, l’elicottero ci ha lasciato su un isolotto in mezzo alla banchisa, coperto di cumuli di neve spazzati dal vento, di fanghiglia e piccole piramidi di ghiaia e pietre alte circa un metro e mezzo. Le coordinate sul tablet del pilota indicavano 83°40’59,1” di latitudine nord e 030°41’52,2” di longitudine ovest. L’ampiezza dell’isolotto era difficile da valutare, perché i bordi erano coperti di neve e ghiacci.
**Definizioni sfuggenti **
Non siamo rimasti a lungo, ma abbiamo fatto il rituale tuffo nella fanghiglia: non proprio gradevole, ma necessario per immortalare il momento. Abbiamo fatto volare un drone e costruito un piccolo _cairn _(cumulo di pietre commemorativo) per i posteri. Morten Rasch, capo coordinatore della spedizione e direttore della Arctic station sull’isola di Disko, ha sventolato una bandiera groenlandese.
L’isola di Oodaaq prende il nome da un leggendario conducente di slitte del distretto di Thule, che nel novecento aiutò gli esploratori occidentali a mappare il nord della Groenlandia. Dal punto su cui eravamo sbarcati potevamo vedere, in direzione della costa, Inuit qeqertaat, conosciuta in Danimarca come l’isola di Kaffeklubben. Era stata a lungo considerata l’isola più a nord del mondo finché un impiegato dell’istituto geodetico, dopo aver raggiunto la sua parte più elevata, non avvistò, 1.400 metri più al largo, l’isola di Oodaaq. Convinti di trovarci a Oodaaq, dopo il bagno nella fanghiglia, ci siamo messi a discutere di un tema spinoso: ci trovavamo su una vera isola?
Rasch, che studia la morfologia delle coste, sosteneva che dal punto di vista scientifico non eravamo su un’isola. Secondo lui, era un ammasso di vecchie morene (cumuli di sedimenti) emerse con il ritiro dei ghiacci dopo l’ultima era glaciale, poi ricoperte dal mare. In un lontano passato, la frantumazione della banchisa, le correnti e il vento avevano spinto sedimenti e ghiaia sopra il livello del mare, e oggi c’era giusto lo spazio sufficiente per il nostro elicottero. Un agglomerato di questo tipo, ha spiegato Rasch, può svanire rapidamente, per i movimenti della banchisa e delle correnti. Secondo lui, per parlare di “isola” bisogna trovare tracce di vita più convincenti, legate all’habitat terrestre. Abbiamo raccolto in sacchetti richiudibili dei campioni di fango e di terreno da far analizzare, attenendoci alle precise istruzioni di Priemé, l’esperto di microbiologia, che ci aspettava con il resto del gruppo a capo Morris Jesup, pochi chilometri a ovest.

Eravamo entusiasti di aver visitato Oodaaq. Solo dopo essere tornati in Danimarca ci siamo resi conto che non eravamo stati su quell’isola, ma ne avevamo scoperta una nuova, ancora più a nord. La questione della sua identità è stata sollevata dall’esperto di geodetica René Forsberg, che lavora all’agenzia spaziale danese, la Dtu space. Forsberg ha visto alcune immagini della spedizione su Facebook e ci ha scritto per chiederci le coordinate gps. Abbiamo subito capito che la posizione esatta dell’isola più a nord del mondo non è un dettaglio di poco conto.
La posizione dell’isola di Oodaaq, che è stata registrata nel 1978, è usata per indicare il punto più settentrionale della linea di costa, su cui il governo danese e l’amministrazione autonoma della Groenlandia basano la loro rivendicazione congiunta sui fondali del polo nord, al largo del mar Glaciale artico. Anche Russia e Canada hanno forti interessi economici in questa regione. Forsberg e la Dtu space sono consulenti delle autorità danesi, in particolare del ministero degli esteri, per tutto ciò che riguarda le misurazioni e i confini della Groenlandia. Forsberg ha constatato rapidamente che l’agglomerato dove avevamo fatto il bagno il 27 luglio si trova, secondo il navigatore del pilota, a circa 850 metri di distanza e 780 metri più a nord dell’isola di Oodaaq, localizzata nel 1978 da una spedizione dell’istituto geodetico, a cui lo stesso Forsberg aveva partecipato.
Il sospetto che fossimo stati sull’isolotto più a nord del mondo, e non sull’isola di Oodaaq mappata nel 1978, si è rafforzato dopo aver letto un articolo pubblicato nel 2019 dal geologo Ole Bennike e dall’esploratore Jeff Shea sulla rivista specializzata Polar Record, intitolato _Oodaaq Ø and other short-lived islets north of Greenland _(L’isola di Oodaaq e altri isolotti di vita breve a nord della Groenlandia). Gli autori parlano di sette isole, tra cui quella di Oodaaq, che furono registrate a partire dal 1978 nelle acque basse al largo del capo più settentrionale della Groenlandia, molte nel corso di spedizioni statunitensi. Tutte e sette sono scomparse, completamente o in parte. L’isola di Oodaaq sparì tra il 1978 e il 1980. Dal 1981 al 1984 le slitte della pattuglia Sirius (un’unità della marina militare danese) cercarono di localizzarla. Ma senza successo: da allora l’isola non è più stata avvistata.
Forsberg è arrivato a una conclusione inequivocabile: “Vi trovavate circa ottocento metri più a nord della posizione dove sorgeva l’isola di Oodaaq. È una nuova isola, mai mappata prima d’ora, e potete essere ragionevolmente sicuri che si tratti dell’isola attualmente più a nord del mondo. Avete trovato un’isola che appartiene alla famiglia di quelle che vanno e vengono. Mi è capitato di assistere a questo fenomeno dall’alto: un lastrone di ghiaccio dello spessore di tre metri può spazzare via un’intera isola. Lo dimostra anche il fatto che sono scomparse di nuovo le isole che erano state scoperte dagli statunitensi più o meno alla stessa latitudine. Si distinguevano chiaramente dall’elicottero. Invece voi avete visto solo quella dove siete atterrati”.

A giudicare dalle immagini girate da Julian Charrière, un artista che ha partecipato alla spedizione, l’isolotto è grande trenta metri per sessanta, ed è coperto in parte da due banchi di ghiaccio. Non era mai stato individuato prima dai satelliti perché era completamente nascosto dai ghiacci, ma il riscaldamento globale ha fatto sciogliere in parte la copertura.
Il microbiologo Anders Priemé è impegnato a isolare il dna dei microrganismi presenti nei campioni che abbiamo prelevato sull’isola. Confronterà i risultati con alcune banche dati internazionali. “Considerata la grande differenza tra i batteri che vivono nel terreno e quelli dell’ambiente marino, la loro natura può rivelare se l’isola ha più tratti marini o terrestri”, spiega Priemé per email. “Con molta probabilità sono presenti batteri sia marini sia terrestri, ma spero in una predominanza dei batteri tipici di uno dei due habitat. Se i campioni contengono solo batteri marini, probabilmente non è un’isola, ma solo fango che è stato recentemente sollevato dal fondo del mare. Al contrario, se troverò una predominanza di batteri terrestri, significa che avete fatto il bagno nella vera isola più a nord del mondo”.
Solo suggerimenti
Altri esperti usano metri di giudizio diversi: agli idrologi, per esempio, piace definire isola ciò che non è coperto dall’alta marea. A volte su queste definizioni sono scoppiati degli incidenti diplomatici: pensate solo al conflitto sulle nuove isole della Cina nel mar Cinese meridionale.
Se verrà considerata una nuova isola, il suo nome sarà scelto dal Comitato groenlandese per i toponimi, istituito nel 2017. Fino ad allora, l’agglomerato dovrà accontentarsi di essere una coordinata. È finita l’epoca in cui viaggiatori ed esploratori attribuivano un nome di loro gradimento a vette, isole e regioni della Groenlandia. Tuttavia, i suggerimenti sono ancora ammessi.
Le ricerche di Elise Biersma sulla storia evolutiva e sull’adattamento climatico della flora groenlandese sono rivoluzionarie. Ci sarebbe piaciuto portarle dei campioni dall’isolotto, ma non avevamo trovato tracce di vita, anche se la vegetazione nel nord della Groenlandia è tra le più resistenti dell’Artico.
Solo dopo essere tornati più a sud, a Kaffeklubben, una normale isola rocciosa, abbiamo trovato il piccolo papavero artico giallo, un paio di sassifraghe, diverse specie di licheni e muschi.
L’isola di Kaffeklubben si trova circa 750 metri a nord di capo Morris Jesup, a 713 chilometri dal polo nord. Dall’altitudine massima di trenta metri, lunga settecento metri e citata già nel 1906 dall’esploratore statunitense Robert Peary, fu registrata formalmente nel 1921 dal geologo Lauge Koch dell’università di Copenaghen, in onore del “club del caffè”. Il nome groenlandese, Inuit qeqertaat, le fu attribuito nel 1993. Profonde crepe provocate dal gelo nella massa rocciosa indicano, spiega Rasch, che l’isola si è formata centinaia di migliaia di anni fa. La vegetazione è presente già da tempo e ora forse è favorita dai cambiamenti climatici che spingono la flora più a nord. Secondo i sistemi di monitoraggio della Nasa, le temperature nel nord della Groenlandia hanno raggiunto un nuovo record proprio mentre eravamo nella zona: 19,8 gradi registrati di notte.
Con il passare del tempo emergeranno altre isole. Nel fiordo di Carlsberg, nel nordest della Groenlandia, uno dei promontori più esterni si è recentemente trasformato in un’isola a causa dello scioglimento dei ghiacci che lo collegavano alla terraferma. Più al largo c’è l’isola di Tobias, forse creata da iceberg che hanno sollevato la ghiaia dal fondo del mare. Dopo che una spedizione danese ci piantò la bandiera per la prima volta nel 2001, l’isola è stata inclusa nei negoziati con la Norvegia sui fondali tra la Groenlandia e l’arcipelago delle Svalbard. La Groenlandia ha acquisito oltre novecento nuovi chilometri quadrati di fondale marino e l’isola di Tobias è stata ritratta perfino in un francobollo groenlandese. Difficilmente questi onori saranno riservati all’isola appena scoperta a nord della Groenlandia. In compenso, al momento è l’isola del suo genere più settentrionale al mondo. ◆ lv
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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati