La poeta Janetta Marilyn Konah è cresciuta e ha studiato in Liberia. Solo nel 2015, verso la fine dell’epidemia di ebola, si è resa conto che nel suo paese non c’era neanche una libreria che vendeva libri di letteratura, quando insieme a un’amica ha percorso le strade della capitale Monrovia in cerca di romanzi di scrittori e scrittrici africane. “Le librerie che abbiamo trovato vendevano opere degli anni cinquanta”, racconta. “Di letteratura non c’era niente: solo libri di scienza, matematica, storia. Stesso discorso nel campus dell’università della Liberia”.
Così si è dedicata alla lettura di poesia straniera: gli statunitensi Walt Whitman, Mary Oliver ed Emily Dickinson, la polacca Wisława Szymborska e la dominicana Elizabeth Acevedo. Ha frequentato un workshop con Patricia Jabbeh Wesley, la poeta più famosa del paese. Su incoraggiamento di Othniel Forte, suo mentore e curatore della ong letteraria Monrovia reads, ha mandato i suoi scritti ad alcune riviste specializzate, nella speranza di vederli pubblicati. Per affinare la sua tecnica aveva bisogno di leggere altri autori contemporanei africani.
Ma senza una libreria come faceva a procurarsi quei testi di cui tutti discutevano su internet?
Hawa Jande Golakai, autrice del romanzo giallo L’effetto Lazzaro (Atmosphere Libri 2014), ha scoperto le librerie “solo molti anni dopo la guerra, e soprattutto dopo aver lasciato l’Africa occidentale”. Non sapeva che esistessero “posti dedicati al piacere della lettura, in cui ti servivano tè o caffè, e potevi fare cose da ricchi come ‘dare un’occhiata’”, racconta. “Ho ‘dato un’occhiata’ a decine di libri gratis finché non mi sono sentita abbastanza sicura da scrivere il mio!”. In Liberia non mancano solo le librerie, nota il poeta Edwin Olu Bestman, ma “tutti quegli spazi dove i creativi possono incontrarsi, sedersi a leggere e conversare. È un panorama scoraggiante per chiunque sia appassionato di lettura e di scrittura”. Secondo lui è una conseguenza delle guerre civili combattute tra il 1989 e il 2003: “Il paese ha sofferto molto da allora”.
Tagliati fuori
La repubblica di Liberia ha una popolazione stimata di soli 5,53 milioni di abitanti su una superficie di poco più di centomila chilometri quadrati, circa un ottavo della Nigeria e un terzo dell’Italia. Nacque come una colonia fondata da ex schiavi africani, che erano stati deportati nelle Americhe ma poi erano stati liberati. Una volta tornate in Africa, queste persone s’insediarono sulle terre dei popoli indigeni, come i vai, i kpelle, i bassa, i kru, i krahn e altri ancora. L’immigrazione dal Nordamerica cominciò verso il 1820 e nel 1847 il paese si proclamò indipendente. La realtà politica della Liberia fu a lungo dominata dai coloni e dai loro discendenti fino a un colpo di stato militare, nel 1980. Le guerre degli anni successivi affondano le radici proprio nelle disuguaglianze decennali tra i liberiani indigeni e quelli ritornati dalle Americhe.
La prima guerra civile liberiana cominciò nel 1989 e si concluse otto anni dopo con l’elezione a presidente di Charles Taylor, il leader del Fronte patriottico nazionale della Liberia (Npfl), che con i suoi uomini aveva invaso il paese dalla Costa d’Avorio per rovesciare il capo dello stato Samuel Doe. La seconda guerra civile infuriò dal 1999 al 2003, l’anno in cui Taylor fu costretto a fuggire all’estero. Da allora, in particolare durante la presidenza di Ellen Johnson Sirleaf tra il 2006 e il 2018, si tentò di ricostruire e far rinascere il paese. Ma nel 2014 l’epidemia di ebola ha segnato una grave battuta di arresto: per i liberiani è stato un duro colpo psicologico, mentre nel resto del mondo la Liberia ha perso la reputazione di paese finalmente sicuro.
Fino al colpo di stato del 1980 quella liberiana era stata una delle economie in più rapida crescita di tutta l’Africa subsahariana. Ma nelle guerre sono andate distrutte infrastrutture importanti, e lavoratori e lavoratrici qualificate sono scappate dal paese. Gli sforzi di ricostruzione hanno trascurato l’istruzione e la letteratura, esasperando la distanza culturale con il resto del mondo. Oggi il paese ha uno dei tassi di alfabetizzazione più bassi del mondo, intorno al 48,30 per cento.
La Liberia è rimasta esclusa anche dai successi della collana African writers series, pubblicata dalla casa editrice londinese Heinemann dagli anni sessanta all’inizio dei duemila (e che ha garantito una certa notorietà ad autori africani come Chinua Achebe, Ngũgĩ wa Thiong’o, Steve Biko, Ama Ata Aidoo, Nadine Gordimer e Buchi Emecheta). Nei primi vent’anni di pubblicazione della collana la Liberia non fu mai rappresentata, mentre nei due decenni successivi il paese era sprofondato nel caos. Anche per questo i suoi scrittori e le sue scrittrici sono rimaste tagliate fuori dal panorama letterario africano.
Senza uno stimolo a seguire una vocazione letteraria e artistica, i giovani liberiani si interessano per lo più di politica. Ma lo fanno senza conoscere bene la loro storia, che non è insegnata a scuola né è adeguatamente rappresentata nella letteratura. È una lacuna che andrebbe colmata perché ha conseguenze pesanti, sostengono gli intellettuali del paese, che si chiedono fino a che punto debbano indagare sui periodi bui della guerra e della crisi dell’ebola.
“I prossimi anni saranno entusiasmanti. Ma per cominciare ci servono libri di letteratura”, dice il poeta Jeremy Karn
“Molti di noi erano piccoli durante la guerra civile, perciò non ne sappiamo molto”, osserva Konah, la poeta. “Però possiamo scrivere delle sue conseguenze, dei danni che ha causato al paese e alla salute mentale dei suoi abitanti. Lo stesso vale per l’ebola”. Bestman è d’accordo: “La maggior parte degli scrittori e dei poeti liberiani scrive di lutti, guerra e tristezza. Basta questo a comprendere il fardello che ci pesa sulle spalle. Ma non possiamo vivere solo nel passato”.
Spetta agli scrittori decidere di cosa parlare, sostiene il poeta Cheerbo Geeplay: “La letteratura non dovrebbe essere legata alle aspettative esterne. Dovremmo sentirci liberi di approfondire temi e storie in sintonia con il nostro modo di vedere le cose, sempre tenendo presente il contesto in cui viviamo e la storia del nostro paese”. Anche secondo Golakai, “confrontarsi con il passato non dev’essere un’imposizione”.
Ribaltare i pronostici
Se una parte della comunità letteraria liberiana ha ottenuto visibilità, lo deve spesso al fatto di aver lasciato un paese che aveva poco da offrire e di aver fatto ritorno in patria con una maggiore sicurezza nelle proprie capacità.
Patricia Jabbeh Wesley, una delle autrici più famose, è cresciuta nel villaggio di Tugbakeh, nel sudest del paese, e ha studiato all’università della Liberia. Durante la prima guerra civile è fuggita negli Stati Uniti con la famiglia, dove ha potuto dedicarsi alla sua passione e pubblicare sei libri di poesia sulla guerra. Ha anche curato un’antologia di poesia liberiana intitolata Breaking the silence (2023).
Le organizzazioni che dovrebbero promuovere la letteratura nel paese sono diverse e non coordinate: oltre alla Young scholars of Liberia creata da Wesley, ci sono la Liberian association of writers (Law), la Liberian poets society, la Pepper coast literary society e la più attiva di tutte, la Monrovia Reads, che organizza laboratori. Il suo responsabile, Othniel Forte, vive nel sudest asiatico e da lì gestisce la casa editrice Forte e una rivista letteraria, Kwee.
Nel resto dell’Africa i problemi sono molto simili. La letteratura della vicina Sierra Leone è stata distrutta dalla guerra civile (1991-2002). Quella del Camerun paga il prezzo della crisi politica e sociale che interessa le regioni anglofone del paese. In Namibia c’è un solo punto di riferimento, nella rivista letteraria Doek! Anche in Nigeria, considerata una potenza della letteratura africana, le librerie sono pochissime e si trovano solo nelle grandi città, e spesso non hanno a disposizione romanzi contemporanei: una situazione insostenibile per un paese di più di 200 milioni di abitanti. Anche i gruppi letterari attivi sono rari.
“Con il suo impressionante elenco di autori e i suoi contributi significativi alla letteratura del continente, la Nigeria occupa una posizione di primo piano. Ma anche lì mancano i premi, le agenzie e le istituzioni letterarie”, nota Geeplay. “La Nigeria ha un solo importante premio letterario, per quanto prestigioso e ricco. In Canada, che ha meno di 40 milioni di abitanti, ce ne sono più di cinquanta, mentre il Sudafrica ne ha una ventina. Più saranno numerosi i premi e le istituzioni letterarie del continente, migliore sarà la situazione. La loro creazione dovrebbe essere una priorità”.
In Liberia bisognerebbe promuovere la lettura alle scuole superiori, osserva Konah: “La maggior parte dei giovani non legge. Perciò noi non scriviamo”. Programmi di tutoraggio, come quelli forniti da Forte, Wesley e Golakai, potrebbero creare nuove opportunità.
“Gran parte di quello che scriviamo non supera i confini della Liberia perché mancano un pubblico e le opportunità di pubblicazione”, aggiunge Jeremy Teddy Karn, autore dell’opera Miryam Magdalit, pubblicata nella raccolta dell’African poetry book fund, dell’università del Nebraska, negli Stati Uniti. Karn racconta quanto fosse frustrante trovare sulle bancarelle solo libri come Il crollo di Chinua Achebe, The gods are not to blame di Ola Rotimi e Weep not, child di Ngũgĩ wa Thiong’o, tutte opere uscite intorno agli anni sessanta. Karn è riuscito a pubblicare le sue poesie e oggi partecipa a un master in arti visive e performative all’università dello Iowa, negli Stati Uniti. “Le proposte di pubblicazione arriveranno quando la Liberia comincerà a produrre letteratura seria. In quanto scrittori, dobbiamo approfittare di tutte le opportunità per farci conoscere”.
Secondo lui nei prossimi cinque anni le opere liberiane riceveranno una spinta importante: “I giovani scrittori vogliono raccontare le loro storie, farsi conoscere e trovare la loro voce. I prossimi anni saranno entusiasmanti. Ma per cominciare servono libri di letteratura e la possibilità di pubblicarli”. Bestman, invece, non vede “granché nel futuro della letteratura liberiana: non abbiamo persone con la passione per le storie. Anche chi ha lavorato a lungo nel settore letterario è restio a condividere il suo sapere”. Concorda sul fatto che “ci sono scrittori e poeti liberiani che hanno ribaltato i pronostici”, ma secondo lui “ci vorrà del tempo per migliorare la situazione generale”.
Wayétu Moore è una delle scrittrici che hanno ribaltato i pronostici. Nata a Monrovia nel 1985, da piccola è dovuta scappare negli Stati Uniti. Ha studiato alla Howard university di Washington e ha ottenuto importanti riconoscimenti per il suo romanzo She would be king e per il libro autobiografico I draghi, il gigante e le donne (Edizioni e/o 2022). Grazie a queste opere è diventata la scrittrice liberiana di maggior successo negli Stati Uniti, guadagnandosi una menzione nelle classifiche di Time e del New York Times. Nel 2015 Moore ha fondato a Monrovia la One Moore Book, una libreria non profit per bambini.
In Africa, invece, è Golakai l’autrice liberiana più in vista, forse per le sue affiliazioni culturali. È nata in Germania, è cresciuta in Liberia e ha vissuto in Sudafrica, a Città del Capo, dove sono ambientati i suoi romanzi gialli, tra cui L’effetto Lazzaro e The score. Nella sua precedente vita professionale era immunologa e consulente medica.
“Più di ogni altra cosa vorrei vedere degli investimenti”, dice Golakai. “Il denaro è importante per creare opportunità o tracciare un orizzonte. L’arte non è una priorità nei paesi poveri e in questo la Liberia non fa eccezione. Molti dei nostri talenti vanno all’estero o fanno la fame. Da africana, mi rendo conto che dobbiamo lottare per essere narratori di storie e custodi della memoria per il bene del nostro patrimonio. Altrimenti lo perderemo. Il mondo fa di tutto per incoraggiarci a dimenticare. Ecco perché sono così attenta ai miei personaggi e ai loro percorsi, soprattutto alle donne”.
Quando ho chiesto a Golakai come immaginava il futuro della letteratura liberiana, ha risposto: “Non chiedetelo a me, ma al presidente”. A oggi il governo di Joseph Boakai, eletto nell’ottobre 2023, non ha annunciato provvedimenti per migliorare la scuola o per sostenere la cultura. ◆ gim
Come molti paesi dell’Africa subsahariana, la Liberia fatica ad assicurare un’istruzione adeguata ai suoi studenti. Nel 2020, secondo l’indice del capitale umano calcolato dalla Banca mondiale, nel paese un bambino o una bambina ha completato in media solo 4,2 anni del ciclo scolastico (sei anni di primaria, tre di media e quattro di superiori) prima di compiere 18 anni. Negli anni 2021/2022 solo il 10 per cento dei bambini e l’11 per cento delle bambine ha finito la primaria. In generale i risultati erano appena sufficienti: in una scala che va da 300 (apprendimento minimo) a 625 (apprendimento avanzato), in media il livello raggiunto dagli studenti liberiani è stato 332.
Nel 2016 il governo della presidente Ellen Johnson Sirleaf aveva deciso di intraprendere un esperimento radicale, affidando a otto organizzazioni private la gestione di 93 istituti primari, in cui era iscritto l’8,6 per cento degli alunni e delle alunne della scuola pubblica. Ad assicurarsi i contratti sono state istituzioni locali e straniere; alcune non profit, come l’ong bangladese Brac, altre a scopo di lucro, come la statunitense Bridge. Dopo tre anni l’esperienza è stata valutata in uno studio pubblicato da The Economic Journal, che ha riscontrato un lieve miglioramento dei risultati solo alla fine del primo anno, mentre nell’arco dei tre anni i progressi erano meno evidenti, anche se le spese erano aumentate. Un effetto positivo è stata la riduzione delle punizioni corporali, ma a fronte di un tasso di abbandono più alto e all’incapacità di alcune scuole di limitare gli abusi sessuali sulle studenti. Nonostante il bilancio deludente, il programma è sopravvissuto ai cambi di leader (nel 2018 è diventato presidente l’ex calciatore George Weah e nel 2024 Joseph Boakai) ed è stato ampliato, osserva David Pilling sul Financial Times. Ma le critiche sono ancora forti: pochi mesi fa, scrive il sito liberiano Front Page Africa, una coalizione di gruppi della società civile ha pubblicato un rapporto che critica duramente la Bridge, accusandola di conflitti d’interessi e di mancanza di trasparenza nella gestione delle scuole in Liberia. ◆
Open Country Mag è un sito nigeriano di approfondimento culturale. Lanciato nel 2020, si occupa in particolare di letteratura africana e del cinema di Nollywood.
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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati