Avete mai provato a dirvi “calmati”, magari mentre siete sull’orlo del panico davanti allo specchio di un bagno accanto a una sala conferenze in cui dovete condurre una riunone dopo pochi minuti? In quei momenti sembra che un semplice promemoria possa funzionare.

Siamo circondati da mantra motivazionali (keep calm and carry on, mantieni la calma e vai avanti) che dovrebbero aiutarci a restare tranquilli. In realtà non fanno altro che tentare di sopprimere un meccanismo umano chiamato arousal, uno stato psicofisico di elevata tensione che comprende l’attivazione del sistema limbico e del sistema nervoso simpatico. Come possiamo restare calmi in situazioni molto stressanti? Una soluzione è ricorrere a un’attività tipicamente umana: i rituali. Si è scoperto che attenuano in modo misurabile lo stress e l’arousal quando le persone eseguono compiti difficili e possono commettere errori.

Molti atleti all’apice della carriera si affidano ai rituali. La stella del tennis Serena Williams faceva rimbalzare la pallina per cinque volte prima di tirare un servizio e per due volte se batteva il secondo. Il calciatore portoghese Cristiano Ronaldo entra in campo poggiando sempre per primo il piede destro. Il campione del baseball Nomar Garciaparra aveva una routine molto riconoscibile sulla casa base prima di ogni lancio: entrava nella zona di battuta, ne usciva, si sistemava i guanti e la fascia sull’avambraccio sinistro, stringeva di nuovo i guanti, poi toccava entrambi i guanti, la fascia, la coscia destra, la schiena, la spalla sinistra, il casco, la cintura, di nuovo il casco e finalmente tornava sulla casa base, sbattendo i piedi al suolo e pronto per battere. I rituali aiutano le persone che eccellono in molti modi.

La prima ballerina Suzanne Farrell agganciava un topolino giocattolo all’interno del suo body, poi si faceva il segno della croce e si pizzicava due volte prima di salire sul palco. La scrittrice Joan Didion metteva le sue bozze nel freezer quando si sentiva bloccata. I rituali danno l’illusione di poter ottenere uno sfuggente “qualcosa in più”, superando lo stress e raggiungendo il nostro pieno potenziale.

L’ansia da prestazione non è necessariamente negativa. La legge di Yerkes e Dodson, formulata nel 1908 da due psicologi che conducevano esperimenti sui topi, ha dimostrato che una dose moderata di tensione e stress può migliorare le prestazioni, a patto di non raggiungere livelli debilitanti. Un certo grado di arousal può spingerci a esercitarci e prepararci meglio, permettendoci di esprimerci al massimo delle nostre possibilità grazie a una scarica di energia capace di aumentare la motivazione e la resistenza. Ma c’è un punto critico: quando diventa troppo intenso, ci travolge. È in quel momento che abbiamo bisogno di una strategia per affrontarlo.

Ogni anno chiedo agli studenti del mio corso ad Harvard se hanno particolari rituali prima degli esami, delle gare sportive o dei momenti stressanti. Di solito, almeno all’inizio, esitano. Poi, quando qualcuno si decide a raccontare la sua esperienza, parlano come un fiume in piena. Le loro risposte mi hanno aiutato a riconoscere i miei rituali. Mezz’ora prima di ogni lezione cammino avanti e indietro nel mio ufficio, ripassando la successione delle cose da dire. Poi prendo la mia scaletta, scritta sempre su un foglio di carta gialla a righe, e la inserisco nel raccoglitore di pelle nera che mio padre mi ha regalato venticinque anni fa e che porto sempre con me a lezione.

Strategie sbagliate

Con questo non voglio dire che tutti dovrebbero adottare un rituale. Diverse ricerche indicano che è possibile ridurre l’ansia da prestazione (che si tratti di un appuntamento galante o di un incontro con il capo) cambiando il modo in cui consideriamo lo stress. La nostra tendenza naturale è cercare di sopprimere l’ansia provando a resistere alla sua influenza o trovando un modo per calmarci.

Di solito queste strategie falliscono perché aggiungono ulteriore stress al nostro già volatile equilibrio emotivo: non siamo agitati solo per il compito che ci attende, ma anche perché non riusciamo a tranquillizzarci. È meglio invece ottimizzare lo stress, sfruttandolo con moderazione per eseguire un compito e sopprimendo gli eccessi che ci portano al fallimento. Un modo per riuscirci è una versione del discorso allo specchio in bagno, ma invece di dirci di stare calmi potremmo ricordare i motivi per cui dovremmo sentirci sicuri del fatto che è tutto sotto controllo.

Molte persone, e molte squadre sportive, usano una musica “stimolante” per passare da uno stato emotivo ansioso a uno attivato. Uno studio pubblicato dallo Psychological Bulletin sottolinea quanto sia efficace la semplice decisione di smettere di abbandonarci afflitti su una sedia e assumere invece una posizione dritta, cercando di comunicare al nostro corpo che va tutto bene. Due professori di psicologia dell’università Saint Louis di Washington, negli Stati Uniti, sostengono che i rituali, di ogni tipo, nascono dal desiderio di affrontare lo stress spingendoci a concentrarci su qualcos’altro e riducendo lo spazio per i pensieri intrusivi e ansiosi.

Uno studio condotto dai ricercatori dell’università di Toronto, in Canada, mostra il funzionamento di questo meccanismo. Gli scienziati hanno insegnato ad alcune persone un rituale fisico, poi le hanno sottoposte a test complessi progettati per favorire gli errori, monitorando la loro attività cerebrale. I ricercatori sono riusciti a verificare che una risposta elettrica conosciuta come “negatività correlata all’errore” (Ern) risultava ridotta dopo l’esecuzione dei rituali. In altre parole, le persone si concentravano meno sui loro errori e questo le aiutava a restare vicine al moderato livello di arousal essenziale per eseguire al meglio un compito in base alla legge di Yerkes e Dodson.

Nessun rituale ha il potere di trasformarci magicamente in stelle della musica o in artisti geniali. Tutti dobbiamo fare i conti con le inclinazioni, le conoscenze, la disciplina e la pratica quotidiana. Tuttavia i rituali possono aiutarci a gestire meglio i nervi, massimizzare le abilità su cui abbiamo lavorato duramente e regalarci quel qualcosa in più che ci permette di dare il meglio di noi. ◆ as

Michael Norton insegna economia aziendale alla Harvard business school di Boston, negli Stati Uniti. Questo testo è tratto dal suo libro The ritual effect (Scribner 2024).

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati