La storia non è l’orgoglio dei vincitori e neppure lo scudo dei vinti, ma è fatta solo dai ricordi dei sopravvissuti, come quelli di Barbara e Nicola, che il 28 dicembre 1908 si fronteggiano dalle due coste dello stretto. Lei, giovane donna di una Messina benestante; lui, figlio undicenne di una famiglia arricchita di Reggio Calabria. Entrambi sono presenze invisibili del loro tempo e agli occhi dei loro affetti. Quando il terremoto squarcia la notte, però, chi sono e da dove vengono non ha molta importanza: le loro identità e le loro vite andranno ricostruite insieme alla città in un’inaspettata licenza poetica. La storia, che si regge sui vuoti di memoria, spesso è stata scritta dai maschi. Tagliate fuori dai registri ufficiali restano le Elvira, le Jutta e le Barbara di questo romanzo, che con le loro esperienze aiutano a soppesare la miseria umana di carnefici ed eroi. Farle riemergere è compito della storiografia, dirà qualcuno, ma quando è lacunosa e fallace, s’impone la letteratura. Terranova ci riporta dunque alle vite delle creature marginali, cercando tra le ombre della storia, “dove le luci restano sempre spente e le vite delle persone sono sopraffatte da narrazioni posticce”. È un viaggio nel tempo sulla cresta di una scrittura elegante nella sua vividezza. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1449 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati