L’esordio di Luigia Bencivenga (Napoli, 1977) mi riporta ad altri titoli che sono comparsi su questa rubrica a loro volta finalisti o menzioni speciali al premio Calvino, come Vita e martirio di Saro Scordia, pescivendolo e I calcagnanti. O’ cane è ambientato in una cittadina della Campania, a Ilias precisamente, “una delle infinite estremità del Viceregno, un borgo popolato da disgraziati, terra arida e monocorde nei toni del giallo e del blu”, dove una misteriosa moria di cani scompiglia la vita degli abitanti. Tra via Belvedere, il carcere Dostoevskij, Cala Renella (“ai margini di Ilias e del mondo”), Case Rosse (“un labirinto di palazzi che s’affacciano laceri come escrescenze”), e la collina dei voyeur, dove tutto comincia, si muove un campionario di personaggi al limite della realtà (e forse proprio per questo in grado di alludere meglio a quelli che popolano il nostro tempo). L’esercizio di stile e immaginazione dell’autrice è notevole: la sua lingua allucinata che descrive un teatro dell’assurdo si mantiene per trecento pagine, allo stesso tempo dando al lettore una chiave d’ingresso per una storia non facilissima. Dall’intreccio di storie umane e canine, tra protagonisti e semplici comparse, prende forma la narrazione di una miseria umana comune e inesorabile. ◆
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati