Per far uscire la Tunisia dalla crisi istituzionale e raccogliere proposte in vista di un referendum costituzionale da tenere a luglio, il presidente tunisino Kais Saied voleva lanciare un grande dibattito popolare online, ma è riuscito solo a organizzare un sondaggio su internet a cui ha risposto appena mezzo milione di tunisini, scrive il giornale Leaders, che s’interroga sulle vere intenzioni del presidente. Anche alla luce della recente decisione, il 30 marzo, di sciogliere il parlamento – di cui aveva congelato i lavori otto mesi prima –, Saied sembra avere un piano ben preciso, che prevede l’accentramento di tutto il potere nelle sue mani. I tunisini, che dieci anni fa con la rivoluzione dei gelsomini avevano rivendicato più diritti politici, sono delusi, e il livello dell’astensionismo è alto. Non bastavano la crisi economica, quella istituzionale e la pandemia a pesare sul paese, conclude Leaders: è arrivata anche la guerra in Ucraina, che oltre a svelare la totale dipendenza del paese dalle importazioni alimentari, ha distolto l’attenzione dei paesi europei da quello che succede sulla sponda sud del Mediterraneo. ◆
Nelle mani del presidente
La tregua entra in vigore
Il 2 aprile è entrata in vigore una tregua di due mesi concordata con la mediazione delle Nazioni Unite dalle due fazioni in conflitto, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli sciiti huthi. La tregua, cominciata nel primo giorno di Ramadan per molti musulmani, potrà essere estesa se le due parti lo vorranno. È la prima a livello nazionale dal 2016. La guerra nello Yemen secondo l’Onu ha ucciso quasi 400mila persone. Al Quds al Arabi racconta che 25,5 milioni di yemeniti vivono sotto la soglia della povertà.
Sette morti in tre giorni
Fra il 31 marzo e il 2 aprile le forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi in Cisgiordania, scrive Al Jazeera. I primi due, tra cui un minorenne, sono morti in un raid a Jenin; un terzo è stato ucciso mentre cercava di compiere un attacco con un coltello vicino all’insediamento illegale di Gush Etzion, a sud di Betlemme. Un altro è stato colpito il 1 aprile a Hebron. Il giorno dopo tre persone, accusate di far parte di una cellula terroristica, sono state uccise a sud di Jenin. Le tensioni si sono inasprite dopo tre attentati commessi la settimana precedente contro cittadini israeliani.
La rinuncia del principe
Con una dichiarazione pubblicata su Twitter il 3 aprile l’ex erede al trono della Giordania Hamza bin Hussein, fratellastro del re Abdallah II, ha rinunciato al titolo di principe. Le sue convinzioni, ha spiegato, “non sono in linea con gli approcci, le tendenze e i metodi moderni delle nostre istituzioni”. Nell’aprile del 2021 Hamza era stato accusato di essere coinvolto in un complotto ispirato da entità straniere per destabilizzare la monarchia. Lui aveva negato, ma aveva definito il governo corrotto, incompetente e autoritario. Due alti esponenti della corte reale erano stati condannati a quindici anni di carcere e Hamza era stato messo agli arresti domiciliari. Da allora ha fatto una sola uscita pubblica, fino a marzo, quando la corte reale ha pubblicato una sua lettera, in cui chiede perdono al re per gli errori del passato. Secondo gli analisti, la rinuncia al titolo indica che i motivi della sua ribellione sono ancora validi. I paesi della regione, nota il sito panarabo Al Ain, temono una destabilizzazione della Giordania.
Naufragi senza fine
L’ong Medici senza frontiere ha dato notizia del naufragio, il 2 aprile, di un gommone con a bordo un centinaio di persone nelle acque internazionali di fronte alla Libia. La petroliera Alegria 1, arrivata per prestare soccorso, ha potuto salvare solo quattro delle persone rimaste a bordo. I sopravvissuti sono stati riportati in Libia, scrive il sito Infomigrants, ricordando che il paese nordafricano non è un porto sicuro per i migranti. Dall’inizio dell’anno l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha registrato più di trecento morti lungo la rotta del Mediterraneo centrale, la più pericolosa al mondo per i migranti. In tutto il 2021 erano stati 1.553. Altre tremila persone sono state intercettate in mare e riportate in Libia da gennaio.
Egitto Il 5 aprile il processo a carico di Patrick Zaki, attivista egiziano e studente all’università di Bologna, è stato aggiornato al 21 giugno. Zaki ha trascorso ventidue mesi in un carcere egiziano e rischia ancora una condanna ad altri cinque anni.
Sudan Il 5 aprile si è aperto alla Corte penale internazionale il processo contro Ali Muhammad Ali Abd al Rahman, comandante delle milizie janjawid ai tempi della guerra in Darfur. L’uomo deve rispondere di 31 capi d’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità, commessi tra il 2003 e il 2004.
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