A marzo in Turchia l’inflazione ha battuto un nuovo record raggiungendo il 70 per cento. A questo risultato ha contribuito il forte rincaro dei costi di produzione nell’agricoltura, un settore che assicura il 7 per cento del pil nazionale ed è un pilastro delle esportazioni, scrive il Financial Times. “Mahmut Çam, un coltivatore della provincia agricola di Hatay, al confine con la Siria, racconta che un anno fa spendeva circa tremila lire turche (189 euro) per fare il pieno di benzina diesel ai suoi cinque trattori. Oggi ha bisogno di tredicimila lire. Negli ultimi tempi, inoltre, il prezzo dei pesticidi e dei fertilizzanti è quadruplicato”. L’aumento dei costi di produzione non è l’unico problema degli agricoltori turchi, aggiunge il quotidiano finanziario britannico: “I coltivatori sono letteralmente stritolati dai supermercati, che a causa della pressione del governo sono costretti a contenere i prezzi, e dagli intermediari, che sempre più spesso sfruttano la situazione per arricchirsi. E così, mentre i sussidi pubblici all’agricoltura sono da tempo accusati da istituzioni come l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) di distorcere il mercato, gli agricoltori turchi ora ne vogliono di più per cercare di contenere il rincaro dei costi di produzione”. L’aumento dei prezzi, in realtà, nasconde profondi problemi strutturali: l’agricoltura turca è arretrata tecnologicamente e riesce a realizzare buoni risultati solo grazie all’uso intensivo di prodotti come i fertilizzanti e i pesticidi. ◆
Agricoltori stritolati
Ritorno al lavoro
Durante la pandemia milioni di statunitensi vicini alla pensione hanno smesso di lavorare, alimentando il timore che la forza lavoro nazionale si stesse riducendo in modo permanente. In realtà, scrive il Washington Post, l’emergenza è quasi rientrata. Secondo i dati del governo, nell’ultimo anno circa 1,5 milioni di queste persone sono rientrate sul mercato del lavoro. “Ciò significa che l’economia ha recuperato gran parte delle perdite causate dal fenomeno dopo il febbraio 2020”, osserva il quotidiano statunitense. Molte persone sono tornate perché hanno meno paura del covid-19 e ricevono contratti vantaggiosi da imprese che cercano disperatamente lavoratori.
Il crollo del bitcoin
Secondo la borsa di criptovalute Coinbase, i l 9 maggio il valore del bitcoin è sceso sotto i 31mila dollari, la metà del record del novembre 2021, scrive la Bbc. Il bitcoin, che costituisce un terzo del mercato delle criptovalute, ed ethereum, la seconda valuta digitale più importante, si sono svalutati del 20 per cento nella prima settimana di maggio.
Una donna al vertice
“Il 9 maggio il Deutsche Gewerkschaftsbund (Dgb), la principale confederazione sindacale tedesca, ha eletto per la prima volta una donna ai suoi vertici”, scrive la Süddeutsche Zeitung. Si tratta della deputata socialdemocratica Yasmin Fahimi ( nella foto ), 54 anni, che ha ricevuto il 93,2 per cento dei consensi dai circa 400 delegati riuniti al congresso del Dgb di Berlino . Nel discorso tenuto subito dopo l’elezione, Fahimi ha dichiarato di volere un sindacato che si batta ancora di più per i diritti delle donne. L’idea è quella di avere un’organizzazione più moderna, ma anche di frenare la cronica riduzione degli iscritti, uno dei principali problemi del Dgb, osserva il quotidiano tedesco. “Avere più donne potrebbe alleggerire la questione. Come dimostrano il sindacato dei servizi Ver.Di e quello dell’istruzione Gew, in cui le donne sono la maggioranza”.
Il grande aggiustamento
Negli ultimi giorni le principali borse mondiali hanno registrato perdite consistenti. Il 9 maggio l’indice Nikkei di Tokyo è sceso del 2,5 per cento, mentre la borsa di Londra ha chiuso con perdite superiori al 2 per cento. Negli Stati Uniti, inoltre, l’indice Dow Jones ha perso quasi il 2 per cento, mentre il Nasdaq, l’indice che raggruppa le grandi aziende tecnologiche (tra le più colpite dai ribassi) è sceso del 4,3 per cento. Dietro questi scossoni, scrive l’Economist, c’è la decisione della Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) e di altre banche centrali, come quelle dell’Australia e del Regno Unito, di aumentare il costo del denaro nel tentativo di frenare l’inflazione. Gli investitori stanno spostando i loro capitali per adeguarsi alla nuova condizione, che prevede dopo diversi anni la fine del credito facile. Come prima cosa, continua il settimanale, hanno cercato rifugio nelle monete più forti, in particolare nel dollaro statunitense, che non a caso nell’ultimo anno si è già rivalutato del 7 per cento. ◆
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