Tra la guerra in Ucraina, l’inflazione e gli incendi nel sud del paese, gli Stati Uniti sono alle prese con un’altra crisi: quella del latte artificiale per bambini, che è diventato introvabile, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il prodotto è molto richiesto, visto che meno della metà dei neonati statunitensi riceve esclusivamente il latte materno nei primi tre mesi di vita, mentre solo il 25 per cento è allattato fino ai sei mesi. All’origine della carenza ci sono i problemi del principale produttore del paese, la Abbott Laboratories, costretto, dopo la morte di due bambini a febbraio, a ritirare gran parte della merce e a chiudere l’impianto di Sturgis, nel Michigan.
La crisi del latte artificiale
I più ricchi del mondo
L’11 maggio la Saudi Aramco è diventata l’azienda con il valore di borsa più alto del mondo, raggiungendo i 2.420 miliardi di dollari. Per la seconda volta dal 2020, il gruppo petrolifero di stato dell’Arabia Saudita, scrive Die Tageszeitung, ha superato l’azienda tecnologica statunitense Apple, che “è ferma” a 2.370 miliardi di dollari.
L’addio di McDonald’s
Il 16 maggio la McDonald’s ha annunciato la decisione di lasciare la Russia. La multinazionale statunitense aveva aperto il suo primo fast food nel paese a gennaio del 1990, nel cuore di Mosca, quando ancora esisteva l’Unione Sovietica, scrive Le Monde. “L’inaugurazione aveva attirato molte persone che volevano regalarsi il loro primo hamburger made in Usa . L’evento fu un vero e proprio simbolo della fine della guerra fredda”. In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio, la McDonald’s come altre multinazionali, si è chiesta cosa fare. Alla fine di febbraio l’azienda aveva sospeso le sue attività in Ucraina e in seguito, l’8 marzo, aveva deciso di fare la stessa cosa in Russia. La misura, però, non poteva includere i ristoranti – circa un quinto del totale – non controllati direttamente dalla McDonald’s, cioè quelli aperti in franchising da aziende locali.
Arrivano i sindacati
Fino alla fine del 2021 nessuno dei circa novemila caffè della Starbucks negli Stati Uniti aveva una rappresentanza sindacale, in parte a causa della dura opposizione dei vertici dell’azienda, ma anche per il fatto che i dipendenti erano pagati tutto sommato bene (ad agosto chiunque lavorasse per la Starbucks negli Stati Uniti riceveva almeno il salario minimo di quindici dollari all’ora). “Oggi, invece”, scrive Bloomberg Businessweek, “più di sessanta sedi in diciassette stati hanno deciso di aderire alla Workers united, un sindacato affiliato alla Service employees international union, seguendo l’esempio dei dipendenti di una filiale a Buffalo, che hanno aderito al sindacato all’inizio del 2022. Attualmente i lavoratori di circa 175 caffè della Starbucks hanno chiesto di indire dei referendum per formare una rappresentanza sindacale. Non sono la maggioranza delle sedi, ma dimostrano che l’ingresso dei sindacati nella Starbucks è ormai inevitabile, non impossibile come si credeva un tempo”. ◆
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