La fondazione spagnola per i diritti umani Safeguard defenders ha pubblicato un rapporto che documenta l’apertura di almeno 102 stazioni di polizia cinesi in 53 paesi, di cui undici in Italia, che servirebbero ad “attaccare, minacciare, intimidire e costringere le persone a tornare in patria per essere perseguite”. La prima stazione, che secondo Pechino ha il solo scopo di aiutare i cittadini cinesi a espletare le procedure burocratiche all’estero, sarebbe stata aperta nel 2016 a Milano. “L’Italia è tra i pochi governi europei a non aver annunciato pubblicamente l’apertura di un’indagine sulla vicenda”, nota il rapporto.
Repressione d’esportazione
Attacchi in profondità
Il 6 dicembre gli aeroporti militari di Ryazan e Saratov, usati per bombardare l’Ucraina, sono stati scossi da esplosioni che hanno provocato tre vittime e danneggiato alcuni aerei. Secondo il New York Times le strutture sarebbero state colpite da droni lanciati dal territorio ucraino, distante centinaia di chilometri. Il giorno successivo è stato colpito anche l’aeroporto di Kursk.
Braccio di ferro con Bruxelles
L’Ungheria ha deciso di usare il suo diritto di veto come strumento di pressione per evitare di perdere 7,5 miliardi di euro di fondi di coesione e 5,8 miliardi del piano di ripresa dalla pandemia, che la Commissione europea ha chiesto di congelare finché il governo di Viktor Orbán ( nella foto ) non avrà realizzaro le riforme promesse in materia di stato di diritto e lotta alla corruzione. Al vertice dei ministri delle finanze del 6 dicembre Budapest ha bloccato l’approvazione di un pacchetto di aiuti all’Ucraina da 18 miliardi di euro e si è di nuovo opposta a una tassa minima globale sui profitti aziendali. Secondo Euobserver la Germania e altri paesi temono che la sospensione dei fondi possa essere bocciata dal Consiglio europeo e hanno chiesto alla Commissione di cercare un compromesso con Budapest per evitare una clamorosa sconfitta.
Stop al greggio russo
Il 5 dicembre è entrato in vigore l’embargo sul petrolio russo, previsto dal sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca adottato a giugno dall’Unione europea. I paesi europei non potranno più acquistare greggio trasportato via mare, mentre gli oleodotti potranno restare in funzione, anche se a servirsene saranno solo Ungheria e Slovacchia. Lo stesso giorno il G7 ha approvato l’imposizione di un tetto massimo al prezzo del petrolio russo, fissato a sessanta dollari al barile. Al di sopra di questa soglia le aziende degli stati del G7 non solo non potranno comprare il greggio, ma neanche trasportarlo o assicurare i carichi destinati ad altri paesi. Secondo Le Monde l’embargo non dovrebbe creare grossi problemi ai paesi europei, che dall’inizio del conflitto in Ucraina avevano già ridotto sensibilmente la loro dipendenza dal petrolio russo. Più complicato potrebbe essere superare le difficoltà legate all’altro divieto previsto dal pacchetto, quello sull’acquisto di idrocarburi raffinati, che entrerà in vigore il 5 febbraio 2023. ◆
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