“Nonostante la pioggia, il Marocco ha sempre sete”, titola Tel Quel, che pubblica un reportage dalla regione di Ouarzazate, alle porte del Sahara. Anche dopo le precipitazioni invernali, le oasi non ricevono più acqua dal fiume Draa. Se la siccità si può attribuire alla crisi climatica, non bisogna dimenticare le responsabilità politiche, in particolare dei progetti di sviluppo immobiliare e agricolo inadeguati approvati dai vari governi, fin dai tempi del re Hassan II (1961-1999). Alcune coltivazioni, come l’avocado e il cocomero, continuano a ricevere sussidi dallo stato nonostante peggiorino la crisi idrica. “Il Marocco è uno dei paesi più poveri d’acqua del mondo e si sta rapidamente avvicinando alla soglia di scarsità idrica assoluta, fissata a cinquecento metri cubi pro capite all’anno”, si legge in un recente rapporto della Banca mondiale. Un agronomo intervistato da Tel Quel esorta a ripensare l’idea che l’agricoltura sia un motore della crescita. Fin dai tempi del protettorato francese, il Marocco è considerato una potenza agricola, ma l’87 per cento del territorio è arido e riceve meno di 400 millimetri di pioggia all’anno. ◆
Siccità permanente
Governo in azione
Migliaia di israeliani hanno manifestato il 7 gennaio a Tel Aviv contro il nuovo governo formato da Benjamin Netanyahu con i partiti di estrema destra. Lo stesso giorno Israele ha revocato il permesso d’ingresso sul suo territorio a tre funzionari del partito Al Fatah che avevano visitato Karim Yunis, un arabo israeliano rilasciato il 5 gennaio dopo quarant’anni di carcere. L’8 gennaio il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha ordinato alla polizia di rimuovere le bandiere palestinesi dagli spazi pubblici.
Le riforme della presidente
Il 3 gennaio la presidente tanzaniana Samia Suluhu Hassan ha revocato il divieto di organizzare raduni politici imposto nel 2016 all’opposizione dal suo predecessore, John Magufuli. Secondo The East African la leader cerca di consolidare il suo programma di riforme, dopo aver cancellato il divieto per le ragazze madri di tornare a scuola. Suluhu Hassan ora vuole “rompere le catene imposte alla libertà di associazione e al dibattito politico, ponendo le basi per una transizione democratica. È un gesto coraggioso, con cui si contrappone alle frange conservatrici del suo partito”.
Vittima dell’omofobia
L’omicidio di un noto stilista e attivista keniano, Edwin Chiloba (nella foto), ha riportato in primo piano le discriminazioni e le violenze subite dalla comunità lgbt nel paese. Il 4 gennaio la polizia ha reso noto che il corpo di Chiloba, 25 anni, era stato ritrovato due giorni prima in una cassa di metallo sul ciglio di una strada, a circa quaranta chilometri dalla città di Eldoret. L’uomo era stato torturato e poi strangolato. Il 6 gennaio è stato arrestato un fotografo, amico di vecchia data dell’attivista, e nei giorni successivi altre quattro persone. Le organizzazioni della società civile e per i diritti umani si sono affrettate a condannare l’omicidio e l’omofobia diffusa, scrive il quotidiano keniano The Nation. La commissione per i diritti umani del Kenya ha espresso preoccupazione per il “crimine spaventoso” e per l’“epidemia di violenze” contro i gay. Nel paese è consentito identificarsi come omosessuali, ma una legge risalente all’epoca coloniale vieta i rapporti tra persone dello stesso sesso.
Le esecuzioni vanno avanti
La magistratura ha condannato a morte tre manifestanti antigovernativi con l’accusa di “aver mosso guerra a Dio”, ha riferito il 9 gennaio l’agenzia di stampa Mizan. Sono ormai diciassette le persone condannate alla pena capitale perché coinvolte nelle proteste in corso da quasi quattro mesi. Decine di persone hanno manifestato davanti al carcere di Karaj per chiedere di fermare le esecuzioni di Mohammad Ghobadlou e Mohammad Boroughani. Il 7 gennaio altri due uomini sono stati impiccati perché ritenuti colpevoli di aver ucciso un esponente delle forze di sicurezza. Mohammad Mahdi Karami e Seyed Mohammad Hosseini avevano denunciato che le loro confessioni erano state estorte con la tortu ra.
Benin L’8 gennaio si è votato per eleggere i 109 rappresentanti (tra cui almeno 24 donne, una per circoscrizione) del parlamento. Per la prima volta dal 2019 i partiti d’opposizione hanno partecipato al voto.
Costa d’Avorio-Mali Il 7 gennaio sono tornati ad Abidjan i 46 soldati ivoriani arrestati in Mali lo scorso luglio con l’accusa di essere dei mercenari. I militari, condannati il 30 dicembre 2022 a vent’anni di carcere, sono stati graziati dal leader della giunta maliana Assimi Goita. Si chiude così la crisi diplomatica scoppiata tra i due paesi vicini.
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