Dal 2026 più di duecento nomi di piante, funghi e alghe non conterranno più la parola caffra, usata come insulto contro le persone di colore, soprattutto in Sudafrica: per esempio l’Erythrina caffra si chiamerà Erythrina affra. La proposta è stata approvata con 352 voti favorevoli e 202 contrari al Congresso botanico internazionale di Madrid. Un comitato appositamente creato vigilerà sulla scelta di nomi non discriminatori nella classificazione delle nuove specie botaniche. È la prima volta che si stabiliscono norme per una tassonomia politicamente corretta, scrive Nature. Alcuni sperano che sia il primo passo verso un linguaggio antirazzista e inclusivo, che abolisca i nomi legati a colonialisti o sostenitori della schiavitù e adotti anche denominazioni provenienti dalle lingue indigene. Ma altri temono che cambiare i nomi delle specie già classificate crei confusione nella letteratura scientifica.
Tassonomia inclusiva
Fossili all’asta
Lo scheletro fossile di uno stegosauro, chiamato Apex, è stato venduto all’asta per la cifra record di 44,6 milioni di dollari. “Questo dinosauro, vissuto 150 milioni di anni fa, è diventato il fossile più costoso di sempre, sollevando vecchie questioni sull’opportunità di mettere in vendita reperti di questo tipo”, scrive lo Smithsonian Magazine. Lo stegosauro era un dinosauro erbivoro di grandi dimensioni che si muoveva lentamente. Apex era alto circa 3,4 metri e lungo 8,2. Si pensa che sia vissuto fino alla tarda età. Il suo scheletro non presenta segni di ferite da combattimento o da predazione, è quasi completo e si è conservato in condizioni ottime. In passato sono stati venduti all’asta altri fossili di dinosauro. Nel 1997 il tirannosauro Sue è stato comprato dal Chicago field museum per 8,36 milioni, mentre nel 2020 un altro tirannosauro, Stan, è stato acquistato per 31,8 milioni da un privato e oggi è esposto al museo di storia naturale di Abu Dhabi. Nel 2022 il Deinonychus Hector è stato venduto per 12,4 milioni. Secondo lo Smithsonian Magazine, la vendita a collezionisti privati potrebbe ostacolare lo studio scientifico dei reperti. ◆
La proteina della vecchiaia
Alcuni topi sono stati modificati geneticamente per farli vivere più a lungo. Gli animali privati della capacità di produrre la proteina IL-11, che stimola l’infiammazione, hanno vissuto il 25 per cento in più e godevano di una salute migliore, con un riduzione del declino metabolico e di altri disturbi legati all’invecchiamento. Resta da capire se effetti simili possano essere ottenuti anche negli esseri umani, scrive Nature.
Il telescopio più grande
Un gruppo di ricercatori vuole creare la rete di telescopi più grande mai realizzata per indagare sui buchi neri, scrive New Scientist. Il progetto, chiamato Black hole explorer, prevede di aggiungere un telescopio spaziale a una rete di osservatori terrestri (nella foto quello del monte Graham, in Arizona) come l’Event horizon telescope, permettendo rilevamenti ancora più dettagliati. Uno degli obiettivi è ottenere immagini ad alta definizione dell’anello fotonico attorno a un buco nero, che aiuterebbero a studiare la forza di gravità.
Sopravvissuti su Venere
I ricercatori dell’Imperial college London hanno fornito nuove prove a favore della presenza di fosfina e ammoniaca nell’atmosfera di Venere. Entrambi i gas possono essere prodotti da organismi viventi. La presenza di queste sostanze non è una prova dell’esistenza di vita extraterrestre sul pianeta, scrive il Guardian, ma potrebbe indicare che organismi sviluppatisi in passato, quando le condizioni erano più favorevoli, siano sopravvissuti protetti in sacche dell’atmosfera.
Geologia L’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei potrebbe essere stata accompagnata da un terremoto, afferma uno studio pubblicato su Frontiers in Earth Science. Due scheletri (uno dei quali nella foto) trovati nell’insula dei Casti Amanti presentano fratture da schiacciamento simili a quelle osservate nelle vittime dei terremoti. Si pensa quindi che dopo la pioggia di pomici un sisma abbia provocato il crollo degli edifici.
Salute In diverse zone dell’Africa orientale il parassita che provoca la malaria sembra essere diventato resistente all’artemisinina, un farmaco fondamentale nella lotta alla malattia. Uno studio pubblicato su Science propone di applicare le lezioni apprese nella regione del Mekong, in Asia sudorientale, dove la resistenza all’artemisinina è comparsa nel 2008.
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