Il 27 novembre a Islamabad è tornata la calma dopo giorni di scontri tra i sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan e la polizia. Più di 50mila persone provenienti da diverse province del paese avevano risposto all’appello di Khan per la “marcia finale” verso il cuore della capitale per chiedere la sua scarcerazione. Quattro paramilitari e un poliziotto sono morti negli scontri e quasi mille manifestanti sono stati arrestati, scrive Dawn. Khan era arrivato al governo nel 2018 e nell’aprile 2022 era stato deposto con una mozione di sfiducia dal parlamento. Un mese dopo era stato arrestato e poi condannato per corruzione e divulgazione di documenti riservati. Accuse che lui respinge. A luglio un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha chiesto la sua liberazione, definendo la detenzione “arbitraria”.
Calma apparente nella capitale
Ritorno a casa
L’Indonesia, scrive l’Abc, ha accettato di restituire al loro paese i cinque australiani ancora detenuti del gruppo dei Bali nine, che nel 2005 tentarono di portare fuori dall’Indonesia 8,3 chili di eroina.
Chiesto l’arresto del generale
Il 27 novembre il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, ha chiesto un mandato d’arresto per il capo della giunta militare birmana, Min Aung Hlaing, accusato di crimini contro l’umanità nei confronti della minoranza rohingya. Khan ha affermato di avere “ragionevoli motivi” per ritenere che il generale possa essere penalmente responsabile di “crimini contro l’umanità di deportazione e persecuzione”. L’indagine del procuratore della Cpi riguarda presunti crimini commessi nel Rakhine, stato nella Birmania occidentale, “nel corso di due ondate di violenza nel 2016 e nel 2017 che hanno spinto i rohingya verso il Bangladesh”. Intanto, scrive la Reuters, dai campi profughi migliaia di rohingya stanno tornando in Birmania per combattere nella guerra civile.
Giù le mani dall’ateneo
Dall’11 novembre l’università Dongduk di Seoul, uno degli istituti femminili creati in Corea del Sud all’inizio del novecento per permettere alle donne di avere un’istruzione universitaria, è occupata. All’inizio le studenti protestavano contro la decisione dell’ateneo di aprire alcuni dipartimenti ai maschi, ma poi la questione centrale è diventata il futuro degli spazi dedicati esclusivamente alle donne in un paese in cui l’uguaglianza di genere è un miraggio. “La protesta riflette il senso d’insicurezza delle sudcoreane negli spazi pubblici”, dice al Guardian Yoonkyeong Nah, docente di antropologia culturale all’università Yonsei di Seoul, citando la diffusione nel paese delle videocamere nascoste nei camerini e nei bagni pubblici, dello stalking e dei crimini sessuali digitali. L’università, scrive il JoongAng Daily, intende chiedere un’ingiunzione del tribunale per mettere fine all’occupazione. ◆
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati