Riuscirà l’Europa a ridefinire la sua posizione nell’ordine geopolitico mondiale? Con l’invasione russa dell’Ucraina e l’aumento delle tensioni con la Cina, le circostanze obbligano a farlo, ma stanno emergendo delle esitazioni. Bisogna mantenere il legame con gli Stati Uniti, a condizione però di ottenere più autonomia e di farla finita con l’egoismo che caratterizza troppo spesso la retorica atlantica e occidentale nei confronti del resto del mondo. L’Europa non è mai stata così ricca. Ha il dovere di promuovere un altro modello di sviluppo e di condivisione della ricchezza: più democratico, ugualitario e sostenibile. Se non sarà così, la nuova alleanza occidentale non convincerà nessuno nella sua sbandierata crociata contro l’impero del male.
L’Europa condivide con gli Stati Uniti un’esperienza simile di democrazia parlamentare, di pluralismo elettorale e una certa forma di stato di diritto. Non è poco. La cosa può giustificare una permanenza nella Nato, fintanto che quest’alleanza contribuisce a difendere un modello simile. In questo senso il pluralismo elettorale è molto più radicato in Ucraina che in Russia ed è giusto opporsi a un paese più potente che invade il suo vicino.
È accettabile appoggiare militarmente gli ucraini. Ma è essenziale anche riconoscere esplicitamente i limiti del modello democratico occidentale
Visto che i membri dell’Onu difendono dei princìpi chiari, è accettabile appoggiare militarmente gli ucraini contro l’invasione e perfino dare ancora più sostegno rispetto a quello fornito finora. Ma è essenziale anche riconoscere esplicitamente i limiti del modello democratico occidentale e superarli. Bisogna, per esempio, battersi per un processo internazionale ai militari e ai politici russi per crimini di guerra, a condizione di ricordare che le stesse regole dovrebbero applicarsi anche agli altri paesi, come nel caso delle atrocità commesse dai militari statunitensi in Iraq e altrove. La democrazia e lo stato di diritto devono prevalere ovunque.
Un altro esempio: per quasi due secoli la corte suprema degli Stati Uniti ha ritenuto che lo schiavismo e la discriminazione razziale fossero legali e costituzionali. E di recente ha deciso che il fatto di uscire armati in strada lo è altrettanto. Occorre denunciare le numerose istituzioni arcaiche che governano gli Stati Uniti e l’Europa, smettendo di presentarli al mondo come modelli democratici perfetti. Il fatto che, da entrambe le parti dell’Atlantico, quasi tutti i mezzi d’informazione siano di proprietà di pochi miliardari non è certo la forma più riuscita di libertà di stampa. Più in generale, l’influenza del denaro privato sulla politica è il sintomo di un modello democratico debole, e contribuisce a spiegare lo scollamento tra i programmi dei partiti e la vita dei cittadini, e spiega anche l’astensionismo dei più poveri. Per diffondere meglio i princìpi democratici, i paesi occidentali dovranno imporre a se stessi obiettivi più ambiziosi. E saranno più credibili se smetteranno di scendere a patti con i regimi autoritari per racimolare qualche soldo in più.
Non è stata imposta alcuna vera sanzione contro gli oligarchi russi, né contro le fortune delle petro-monarchie colpevoli delle peggiori nefandezze. Il motivo è la difesa dei circuiti finanziari e immobiliari occidentali che ospitano queste ricchezze: a Parigi, sulla Costa Azzurra, a Londra, in Svizzera, in Lussemburgo o altrove. C’è bisogno di una trasparenza patrimoniale che rischia di ritorcersi contro le fortune occidentali. Quando il regime cinese ha distrutto davanti ai nostri occhi il pluralismo elettorale di Hong Kong nel 2019, l’unica reazione europea è stata proporre un nuovo trattato d’investimento ancora più permissivo in materia di libera circolazione dei capitali.
All’occidente manca un dibattito credibile sulla giustizia economica e sociale su scala mondiale. Se India, Sudafrica, Senegal o Brasile hanno bisogno di risorse per svilupparsi, chi gli impedirà di fare affari con la Russia? Se gli occidentali non propongono una nuova condivisione delle ricchezze, sarà la Cina a federare il sud del mondo.
È tempo di uscire dalla logica delle promesse mai mantenute (in particolare quelle fatte al vertice di Parigi del 2015 per aiutare i paesi poveri a far fronte alla crisi climatica) e di passare a una logica fondata sui diritti. Ogni paese deve poter disporre, in proporzione alla sua popolazione, di una parte di guadagni provenienti da multinazionali, miliardari e altri soggetti ricchi. Innanzitutto perché ogni essere umano dovrebbe avere lo stesso diritto alla salute, all’istruzione o allo sviluppo. E poi perché i paesi ricchi non avrebbero tanto benessere se non ci fossero quelli poveri: l’arricchimento dell’occidente di ieri, e quello cinese di oggi, si fondano sulla divisione internazionale del lavoro (lo spostamento dei processi di produzione industriale al di fuori dei confini nazionali) e sullo sfruttamento delle risorse del pianeta. È arrivato il momento di prendere coscienza di quest’eredità storica e di trarre le giuste conclusioni per il futuro. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1469 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati