Nessun governo ha difeso i popoli indigeni del Canada più di quello attuale, guidato da Justin Trudeau. Ma allora perché il governo ha reagito in modo così inadeguato al ritrovamento dei resti di 215 bambini nativi in tombe anonime nei terreni di una vecchia scuola della British Columbia? La ragione sta in parte nel fatto che il processo di riconciliazione con i popoli nativi ha subìto un forte rallentamento, fino quasi a fermarsi.
Anche su temi basilari – come l’identificazione e la protezione dei luoghi di sepoltura – ci sono state molte discussioni ma poche azioni concrete. Inizialmente il governo ha rivendicato di aver stanziato due anni fa 33 milioni di dollari canadesi (22 milioni di euro) per questa causa. Poco dopo ha ammesso che solo una piccola parte dei soldi è stata spesa. Marc Miller, il ministro per gli affari indigeni, ha motivato i ritardi sostenendo che il governo voleva essere certo che l’intero processo fosse gestito dalle popolazioni indigene. Sembra più che altro una scusa per giustificare l’immobilità. La verità è che sul tema della riconciliazione con i nativi l’opinione pubblica è molto più avanti del governo e dell’intera classe politica.
Fine carriera
Durante il suo primo mandato, Trudeau aveva le carte in regola per rivendicare il ruolo di guida in questo processo. Ma negli ultimi tempi i Liberali hanno allentato l’attenzione sui diritti indigeni, mentre la pandemia monopolizzava il dibattito pubblico. Poi è arrivata la notizia dei 215 bambini sepolti nella scuola di Kamloops, che ha sconvolto la maggior parte dei canadesi. In un certo senso la notizia non dovrebbe sorprendere, perché si sapeva da tempo che il tasso di mortalità nelle residential schools – istituti creati dal governo nell’ottocento e nel novecento per integrare i bambini nativi nella società – era molto alto e che molti bambini venivano sepolti in tombe anonime.
Eppure la notizia della scoperta dei resti nella scuola di Kamloops ha avuto un effetto paragonabile a quello della morte di George Floyd a Minneapolis, negli Stati Uniti. Prima dell’omicidio di Floyd molti neri erano stati uccisi dai poliziotti, ma quell’episodio ha dato vita a un’indignazione che ha avuto effetti duraturi. La vicenda di Kamloops – la consapevolezza che centinaia, forse migliaia di bambini abbiano patito enormi sofferenze in vita e siano stati abbandonati nella morte – potrebbe avere un impatto simile sul modo in cui i canadesi valutano il progresso della giustizia per i popoli indigeni.
I canadesi sanno che Trudeau non ha mantenuto le promesse fatte nel 2015. All’epoca i Liberali si erano impegnati ad attuare tutti i provvedimenti proposti dalla commissione per la verità e la riconciliazione. Un’analisi di Cbc News ha rivelato che solo una minima parte di quelle richieste è stata soddisfatta. Nel 2020 il governo ha ammesso che non avrebbe raggiunto l’obiettivo di portare acqua potabile a tutte le comunità indigene entro marzo del 2021, e ha fissato una nuova scadenza per il 2026, stanziando altri fondi.
Ma la distanza tra le richieste dell’opinione pubblica e i provvedimenti del governo potrebbe essere una buona notizia per la causa dei diritti indigeni. D’ora in poi tutti i leader politici saranno costretti a fare di più. Per fare un esempio, a dicembre del 2020 il leader conservatore Erin O’Toole è stato ripreso dalle telecamere mentre dichiarava che le scuole per i bambini nativi avevano prodotto anche dei buoni risultati, e che gli istituti erano stati “pensati per provare a fornire un’istruzione”. O’Toole è stato aspramente criticato per le sue dichiarazioni, ma immaginate cosa succederebbe se un aspirante premier pronunciasse le stesse parole dopo la vicenda di Kamloops: sarebbe la fine della sua carriera. Ora i politici devono mostrare risultati. La retorica non basta più. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati