Nell’aprile del 1961, pochi mesi dopo l’insediamento di John F. Kennedy come 35° presidente degli Stati Uniti, la sua reputazione di esperto di politica estera subì un duro colpo quando ci fu l’invasione della Baia dei porci, il tentativo di far cadere il governo cubano di Fidel Castro da parte dei servizi segreti statunitensi fallito in pochi giorni.

Il disastro in corso in Afghanistan, scaturito dalla decisione del presidente Joe Biden di procedere con il completo ritiro delle truppe statunitensi, molto probabilmente sarà visto come la sua Baia dei porci. Ma potrebbe essere qualcosa di peggio, più simile alla crisi di Suez del 1956, che non solo umiliò il governo britannico di sir Anthony Eden, ma segnò la fine del Regno Unito come potenza globale. Quando gli storici ricorderanno la caotica partenza degli Stati Uniti dall’Afghanistan, potrebbero interpretarla come un ulteriore segnale del declino dell’America nel mondo, che supera di gran lunga la fuga da Saigon del 1975.

Verso la catastrofe

Com’è potuto succedere? Gli afgani stanno già dando la colpa al presidente Ashraf Ghani, che ha lasciato il paese, e i difensori di Biden si uniranno al coro. Ma questa è una lettura troppo semplice di come sono andate le cose. Lo stile dispotico di Ghani, la scelta sbagliata dei collaboratori e la riluttanza a delegare il potere hanno svolto un ruolo importante nella crisi attuale. Ma forse sono da biasimare più i problemi istituzionali e politici che già si stavano aggravando molto prima che Ghani diventasse presidente: uno stato troppo centralizzato, un sistema presidenziale che attribuiva un potere eccessivo a Kabul e politiche basate su reti clientelari fiorite sotto l’ex presidente Hamid Karzai.

Un ruolo ancora più significativo è stato svolto dal Pakistan, che da molto tempo protegge i taliban e gli fornisce rifugio, supporto logistico ed equipaggiamento. Ma il via libera (non intenzionale) alla “strisciante invasione” pachistana dell’Afghanistan, con i taliban come suoi delegati, alla fine è arrivato da Washington.

In primo luogo c’è stato il catastrofico accordo di uscita firmato con i taliban per conto dell’amministrazione Trump dall’inviato speciale degli Stati Uniti in Afghanistan, Zalmay Khalilzad, nel febbraio 2020. I punti deboli dell’accordo sono stati subito evidenti. Nonostante questo, Biden ha scelto di rispettarlo. Ha sempre sottolineato di aver ereditato l’accordo da Trump, ma è stata sua la decisione di onorarlo e di mantenere Khalilzad, l’ideatore dell’accordo, come proprio rappresentante. Alla base della tragedia ci sono le deplorevoli scelte degli Stati Uniti.

Errore di valutazione

Quali fattori potrebbero spiegare il grossolano errore di valutazione di Biden? Ne vengono in mente diversi. Un primo fattore, trascurato da tutti, è la sua mancanza di esperienza nell’affrontare concretamente sfide complesse e pericolose di politica estera. Prima di diventare presidente nel gennaio 2021, Biden non aveva mai ricoperto nessuna carica che comportasse un’autorità esecutiva specifica. È stato a lungo parlamentare e poi vicepresidente, e membro della commissione per le relazioni estere del senato per 12 anni, diversi dei quali come presidente. Ma non ha mai occupato una posizione in cui gli veniva richiesto di prendere decisioni definitive su questioni di alta politica, tenendo conto dei rischi che comportavano. Avere un interesse per gli affari internazionali non significa avere capacità di giudizio o talento per l’ideazione e l’attuazione della politica estera. Robert Gates, ex segretario alla difesa di amministrazioni repubblicane e democratiche, nelle sue memorie del 2014 afferma che Biden ha assunto la posizione sbagliata in quasi tutte le principali questioni di politica estera e di sicurezza nazionale degli ultimi quarant’anni.

Da sapere
Difesa a oltranza

◆ Il 16 agosto 2021 in un discorso alla nazione il presidente statunitense Joe Biden ha difeso la sua decisione di ritirare le truppe, incolpando l’esercito afgano del collasso del governo e del caos all’aeroporto di Kabul, dove migliaia di persone si sono precipitate cercando di salire sugli aerei che stavano portando in salvo gli occidentali e i loro collaboratori afgani. “Gli abbiamo dato tutto, stipendi, equipaggiamento, addestramento, ma non potevamo dargli la voglia di battersi per il loro futuro”, ha detto Biden, pur ammettendo che non si aspettava che la situazione precipitasse così rapidamente. A proposito delle migliaia di collaboratori afgani degli Stati Uniti che non sono ancora stati evacuati, Biden ha detto che alcuni avevano voluto aspettare a partire e che il governo di Kabul aveva chiesto di evitare un trasferimento di massa per non creare una crisi di fiducia nelle autorità. The New York Times, The Washington Post


Secondo alcuni, la decisione di Biden di seguire il percorso di Trump sarebbe stata guidata più dall’istinto e da vecchie convinzioni che da una valutazione razionale dei rischi. Potrebbe anche essere stato influenzato da un profondo, quasi viscerale, sospetto verso i consigli dell’esercito statunitense, che risale ai suoi tentativi falliti, quando era vicepresidente, d’impedire il rafforzamento delle truppe in Afghanistan, deciso alla fine da Barack Obama.

Un secondo fattore è probabilmente la politica interna statunitense. Biden e i suoi sostenitori hanno citato i sondaggi a favore di un completo ritiro delle truppe, ma è improbabile che siano stati decisivi, perché l’Afghanistan non ha mai suscitato un interesse popolare per la politica estera paragonabile a quello associato alla guerra in Vietnam. È più probabile che abbiano pesato le vicende interne del Partito democratico. Biden era stato molto criticato dalla sinistra per il suo appassionato sostegno all’invasione dell’Iraq nel 2003. Sostenere il ritiro delle truppe dall’Afghanistan avrebbe potuto placare alcune di queste critiche e fare appello all’ala progressista del partito e ai sostenitori dell’isolazionismo.

La decisione di Washington riflette anche un grave fraintendimento delle dinamiche di potere in Afghanistan. La psicologia di massa ha un peso notevole nell’indirizzare le scelte politiche in un ambiente minaccioso e poco istituzionalizzato come quello afgano. Come in montagna, un piccolo spostamento può rapidamente provocare una valanga, scatenando quella che i politologi chiamano “cascata”. Il crollo del governo afgano è un perfetto esempio di cascata. L’accordo del 2020 tra gli Stati Uniti e i taliban ha generato un’apprensione profonda e diffusa per ciò che poteva riservare il futuro. Sono bastate poche sconfitte localizzate per indebolire la fiducia nella sopravvivenza del governo di tutti gli attori coinvolti, militari e civili. Il cambio di schieramento è diventato la strategia più logica, ma poi è finito fuori controllo.

Potenza in declino

Il ritiro delle truppe statunitensi sembra anche rispecchiare l’incapacità di Biden (non dell’esercito statunitense) di comprendere quanto sia stato rovinoso per i militari afgani l’accordo del febbraio 2020. Dato che implicava il ritiro non solo delle truppe statunitensi ma anche dei loro servizi di manutenzione, ha compromesso l’efficienza di alcune risorse chiave dell’esercito afgano, oltre a privarlo di una copertura aerea fondamentale. Gli Stati Uniti hanno ritirato il supporto aereo, l’intelligence e i servizi di manutenzione di aerei e elicotteri, il che significa che l’esercito afgano semplicemente non poteva più operare.

È difficile immaginare come Biden possa emergere da questo disastro senza perdere credibilità, ma la perdita di credibilità maggiore è quella degli Stati Uniti, che appaiono sempre più una potenza in declino. Senza guadagnarci molto, hanno venduto il governo e l’opinione pubblica più filoccidentali della regione a un brutale gruppo terroristico, dopo aver ripetutamente promesso agli afgani che non li avrebbero mai abbandonati. Le implicazioni di questo abbandono vanno ben oltre i confini dell’Afghanistan. Come ha detto un gruppo di ex ambasciatori, “un’ignominiosa partenza americana invia un segnale disastroso ad altri paesi, proprio ora che gli Stati Uniti devono competere con la Cina e con altri regimi autoritari”.

Nel maggio 1940, in un feroce atto d’accusa contro l’incapacità del governo Chamberlain di sostenere i suoi alleati, l’ex primo ministro britannico David Lloyd George osservò che “sul mercato, ormai le nostre lettere di credito sono spazzatura”. A causa dei suoi errori in Afghanistan, l’amministrazione Biden sta rapidamente andando in una direzione simile. ◆ bt

William Maley _ è un esperto di diplomazia dell’Australian national university_.

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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati