Fino a un paio di settimane fa Lucien Justin, a capo del comitato per la pesca Jude Watta di Wattala, vicino a Colombo, conduceva una vita semplice. Lui e la moglie mangiavano due volte al giorno e i novanta pescatori della loro piccola comunità si sostenevano a vicenda. “Se peschiamo arrivano i soldi. Se non peschiamo arriva la fame”, dice. Ma dopo che il peggior disastro marittimo della storia dello Sri Lanka ha avvelenato le acque vicino alle zone di pesca, Justin teme che quella vita semplice sia a rischio. “La gente ha paura. Nessuno vorrà mangiare il pesce che peschiamo per timore che possa essere tossico”.

L’incendio scoppiato il 19 maggio a bordo della nave portacontainer MV X-Press Pearl è stato domato, ma poi la nave è affondata. Gli osservatori avvertono che gli effetti peggiori del disastro della nave carica di sostanze chimiche potrebbero ancora arrivare.

La nave battente bandiera di Singapore, in viaggio dal Qatar all’India, e diretta a Singapore passando per Colombo, trasportava 350 tonnellate di carburante che, avvertono le autorità, se fuoriuscisse colpirebbe le comunità costiere. La pesca è stata proibita lungo tutta la costa occidentale del paese, per circa 75 chilometri. Impedire l’accesso al mare significa impedire alle comunità come quella di Justin di procurarsi da vivere.

Effetti invisibili

Dai container a bordo della nave sono fuoriuscite anche particelle di plastica che sono state trascinate fino a riva. Per ripulire il relitto bruciato e i detriti è stata chiamata la marina militare. Altri effetti però saranno più difficili da contrastare, o addirittura da vedere. La nave trasportava un’enorme quantità di sostanze chimiche pericolose: acido nitrico, usato per gli esplosivi; resine epossidiche, usate per le vernici e gli inneschi; barre di etanolo e piombo, impiegate per la produzione di batterie per automobili. C’erano anche soda caustica, oli lubrificanti, derivati dell’alluminio, polietilene per i sacchetti e le confezioni alimentari, cosmetici e viveri. Hemantha Withanage, scienziato ambientale e direttore esecutivo del Centre for environmental justice in Sri Lanka, avverte che uno dei container porta la scritta “sostanze dannose per l’ambiente”: “Di che sostanze si tratta? Non lo sappiamo. Le autorità non ce l’hanno ancora comunicato. Perché tengono segrete queste informazioni?”.

Con l’affondamento della nave queste sostanze chimiche rischiano di disperdersi nell’oceano. “È una grave minaccia per il nostro ecosistema”, dice Withanage, perché potrebbe determinare la morte e la contaminazione dei coralli, dei pesci, delle tartarughe e di altre specie marine che abbondano al largo delle nostre coste.

Balene e delfini abitano gli oceani e lungo la fascia costiera nidificano le tartarughe: la costa dello Sri Lanka accoglie cinque delle sette specie di tartarughe marine presenti in tutto il mondo. Quando la nave ha preso fuoco, sui social network sono circolate foto di pesci, murene, razze e tartarughe trascinate a riva.

Stando ad alcuni rapporti, quando a bordo della nave è divampato un incendio a causa di una perdita di acido, il Qatar e l’India hanno negato il permesso di scaricare i container pieni di sostanze chimiche. “Abbiamo salvato la vita di 25 marinai”, dice Withanage. “Si è trattata di una delle più importanti azioni umanitarie che abbiamo mai intrapreso, e ne siamo fieri, ma ha avuto un costo incommensurabile per l’ambiente”.

In tutto il paese gli abitanti non si capacitano del perché alla nave, nonostante la falla, sia stato permesso di restare nelle acque territoriali. Sui social network molti cittadini stanno denunciando quella che ritengono una grave negligenza da parte del governo. Secondo Withanage, l’incendio è andato fuori controllo a causa dell’assenza di equipaggiamenti adeguati e di un sistema di risposta rapida in Sri Lanka, provocando un’esplosione la mattina del 25 maggio, sei giorni dopo che il fuoco era divampato. Il 27 maggio sono arrivati i soccorsi indiani. “L’unità dello Sri Lanka usava l’acqua per domare le fiamme, ma è un errore perché quando agenti nocivi come il metossido di sodio reagiscono con l’acqua formano sostanze corrosive e possono aggravare un incendio”. Diran Kamantha, 27 anni, lavora all’hotel Pegasus reef sulla spiaggia di Wattala ed è preoccupato per i possibili danni economici. “Ci sono molte particelle di plastica sulla spiaggia. Alcune zone sono nere a causa dei detriti provenienti dalla nave”, racconta Kamantha. L’albergo accoglie turisti stranieri e locali e ospita ricevimenti di matrimonio. “È triste perché non è solo una cattiva pubblicità per le nostre spiagge e il nostro albergo, ma per tutto il paese”.

Anche secondo Withanage il disastro non solo ha avvelenato le acque, ma potrebbe provocare un danno permanente alla reputazione dello Sri Lanka e le persone potrebbero non fidarsi più di consumare il pesce catturato al largo delle sue coste. “Perché la gente torni a mangiare pesce occorre un cambiamento di mentalità”, dice Withanage, citando le foto dei pesci sospinti a riva con la plastica incastrata nelle branchie. Quella plastica “resterà nei nostri oceani per decenni inquinando la nostra costa, verrà ingerita dalla fauna marina e penetrerà nel sistema di lagune”.

Il paese è alle prese con una nuova ondata di covid-19: c’è una media di tremila nuovi contagi e trenta morti al giorno, e il governo ha imposto ovunque restrizioni agli spostamenti. Non è ancora chiaro che impatto questo potrebbe avere sulla pulizia delle spiagge. “La manodopera a disposizione al momento non basta”, afferma Kamantha. “Sono tutti chiusi in casa, hanno paura di uscire”. Justin teme che le conseguenze di questo disastro siano permanenti. “Questo mare è tutto il nostro mondo”, dice. “Senza la pesca non sappiamo come continuare a vivere”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati