La crisi economica che ha colpito i paesi ricchi non ha risparmiato i bambini: sono 76,5 milioni i minori che vivono sotto la soglia di povertà, e dal 2008 sono 2,6 milioni i bambini a essere finiti in questa condizione.

È quanto rivela il rapporto dell’Unicef “Figli della recessione”, presentato il 28 ottobre a Roma e che raccoglie i dati di 41 paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e dell’Unione europea.

Secondo il rapporto, in più della metà dei paesi ricchi la povertà riguarda un bambino su cinque, mentre in alcuni paesi la situazione è ancora più grave. Come in Italia, dove i dati parlano di un bambino su tre in povertà e oltre 600mila bambini poveri in più rispetto al 2008.

“Il 16 per cento dei bambini italiani è in condizioni di grave deprivazione materiale”, ha dichiarato Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia.

Secondo il rapporto, dal 2008 a oggi la povertà infantile è aumentata in 23 dei 41 paesi analizzati e in alcuni paesi, come Irlanda, Croazia, Lettonia, Grecia e Islanda, l’aumento ha superato anche il 50 per cento. “Nel 2012 in Grecia il reddito medio dei nuclei familiari con bambini è ritornato ai livelli del 1998: l’equivalente di una perdita di 14 anni di progresso in termini di reddito. Secondo questa rilevazione l’Irlanda, il Lussemburgo e la Spagna hanno perso un decennio; l’Islanda ha perso nove anni e l’Italia, l’Ungheria e il Portogallo hanno perso otto anni”.

Colpiti duramente anche i giovani tra i 15 e i 24 anni, con un numero di quelli che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione (i Neet) cresciuto drammaticamente in molti paesi. “Nell’Unione europea, nel 2013, 7,5 milioni di giovani erano classificati come Neet, quasi l’equivalente della popolazione della Svizzera”, spiega il rapporto. In Italia la percentuale è aumentata di quasi sei punti dal 2008, raggiungendo il 22,2 per cento (il tasso più alto dell’Unione europea), cioè oltre un milione di giovani.

Non va meglio oltreoceano. Secondo l’Unicef, infatti, gli Stati Uniti hanno visto crescere l’estrema povertà infantile più durante questa recessione che in quella del 1982, e le misure messe in campo per i poveri senza lavoro non sono state efficaci. “Dall’inizio della crisi, la povertà infantile è aumentata in 34 stati su 50”, spiega il rapporto. “Nel 2012, 24,2 milioni di bambini vivevano in povertà, con un incremento netto di 1,7 milioni dal 2008”.

In alcuni stati, però, la recessione non ha inciso sulla povertà infantile. “In 18 paesi la povertà infantile è diminuita, talvolta in modo marcato: Australia, Cile, Finlandia, Norvegia, Polonia, Repubblica Slovacca hanno ridotto i livelli di circa il 30 per cento”.

Per il direttore della divisione statistiche, ricerche e analisi dell’Unicef, Jeffrey O’Malley, si tratta comunque di un “grande passo indietro” fatto da molti paesi ricchi con “conseguenze che avranno ripercussioni a lungo termine” per i bambini e le loro comunità.

“La ricerca mostra che la forza delle politiche di protezione sociale sarebbe stata un fattore decisivo per prevenire la povertà. Tutti i paesi hanno bisogno di forti reti di sicurezza sociale per la protezione dei bambini sia durante congiunture negative sia in quelle positive. I paesi ricchi dovrebbero fare da esempio impegnandosi per eliminare la povertà infantile, sviluppando politiche per controbilanciare la regressione e facendo del benessere infantile una priorità”. Redattore Sociale

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