La morte di due ostaggi, un americano e un italiano, avvenuta durante un’operazione militare condotta con i droni dagli Stati Uniti in Pakistan, ha riaperto le polemiche contro il programma di omicidi mirati condotto da Washington dal 2004. Le operazioni contro i presunti leader di Al Qaeda o i gruppi terroristci in Pakistan, Afghanistan, Yemen e Somalia sono coordinate dai vertici dell’intelligence e non devono essere autorizzate né dal presidente né dal congresso.
Da tempo gli attivisti per i diritti umani e alcuni rappresentati del congresso sollevano dubbi sulla legittimità e sull’efficacia dell’uso dei droni nelle operazioni militari.
Anche se dal 2010 gli interventi con i droni sono diminuiti notevolmente, secondo alcune stime del congresso 4.700 persone sono state uccise con i droni nel 2013. Secondo il New York Times in Pakistan sono stati compiuti più di 400 attacchi con i droni.
A marzo l’organizzazione non governativa American civil liberties ha fatto causa all’amministrazione Obama mettendo in dubbio la legalità delle “uccisioni mirate” che permettono di colpire i presunti terroristi, anche se cittadini americani, senza che siano stati sottoposti a un regolare processo. Un’analisi recente dell’associazione per la difesa dei diritti umani Reprieve ha stimato che i bombardamenti con i droni hanno ucciso 1.147 persone fino a novembre del 2014 per colpire 41 presunti terroristi.
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