Il 16 giugno 1976 migliaia di studenti della township di Soweto, ghetto nero a sud di Johannesburg, scesero in piazza per denunciare l’imposizione nell’insegnamento della lingua dell’oppressore bianco, l’afrikaans. La polizia sparò sui manifestanti e il Sudafrica sprofondò in un clima di violenze senza precedenti dall’instaurazione del regime segregazionista nel 1948.

Uno dei primi morti della strage di Soweto fu un ragazzo di 13 anni. La foto del corpo inerte di Hector Pieterson, portata da un giovane mentre sua sorella era in lacrime al suo fianco, sarebbe diventata il simbolo della rivolta. All’epoca Sam Nzima, fotografo di The World, non immaginava lo scalpore che avrebbe suscitato la sua immagine.

Indignata dalla brutale repressione della polizia, che aveva fatto almeno 500 vittime, la comunità internazionale aveva cominciato a imporre delle sanzioni contro il regime, che tuttavia scomparirà solo nel 1994, con l’arrivo al potere di Nelson Mandela.

Quaranta anni dopo che cosa rimane della lotta degli studenti di Soweto? In Sudafrica le violenze della polizia non sono scomparse, come testimoniano i minatori di Marikana, uccisi dalle forze dell’ordine durante lo sciopero spontaneo del 2012, sottolinea il ricercatore Andrew Faull in The Conversation, ricordando che le vittime della polizia sudafricana sono sempre persone povere e nere.

“La lotta e i sacrifici degli studenti del 1976 non sono stati inutili”, ha assicurato il presidente sudafricano Jacob Zuma in un discorso ritrasmesso dalla televisione il 16 giugno, diventato il giorno della gioventù. La percentuale di promozione all’esame di maturità è passato dal 53,4 per cento del 1995 al 70,7 per cento 20 anni dopo, ha osservato il ministro per la pianificazione Jeff Radebe.

Ma anche se il governo mette in avanti i successi di questi ultimi 22 anni di democrazia, i figli dei ribelli di Soweto, che non hanno conosciuto l’apartheid, crescono in una società ancora profondamente divisa da barriere razziali ed economiche. Nel 2015 gli studenti sono di nuovo scesi in piazza per manifestare questa volta contro l’aumento delle rette scolastiche, riprendendo così la lotta dei loro predecessori.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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