Una domenica di poco tempo fa, circa quaranta persone si sono riunite nel loro consueto luogo d’incontro, un centro di aggregazione di Seattle, e ben presto si sono trovate a discutere un dilemma etico: esistono situazioni in cui sarebbe giusto dare un pugno a un nazista? La discussione è stata moderata da una coppia, marito e moglie, che ha sostenuto che fare male alle persone è solitamente una cattiva idea, ma che in certi casi potrebbe essere l’unico modo di proteggere degli innocenti. “In un mondo imperfetto come il nostro, talvolta bisogna scegliere tra alcune possibilità pessime”, ha suggerito il marito, Mickey Phoenix.
Tra gli altri argomenti recentemente discussi presso la Chiesa atea di Seattle ci sono la differenza tra compassione ed empatia e l’opportunità o meno di pagare delle riparazioni ai discendenti degli schiavi negli Stati Uniti, come proposto dallo scrittore Ta-Nehisi Coates. Quando hanno concluso la loro discussione, i partecipanti hanno la possibilità di conoscersi bevendo un succo di frutta o consumando uno spuntino.
Come molti altri club simili nel mondo occidentale, questa “chiesa atea” intende offrire alcune caratteristiche di una congregazione religiosa (appartenenza, esperienza collettiva, spinta verso un comportamento morale) evitando però ogni forma di culto nei confronti di una divinità o del sovrannaturale. Ruth Walther, fondatrice della comunità di Seattle, sintetizza la sua filosofia parafrasando un inno cristiano, “Dio agisce in maniera misteriosa”: nella sua chiesa, spiega, “crediamo nel bene perché le opere di bene funzionano in maniera non misteriosa”.
Una nicchia da definire
Nel caleidoscopio contemporaneo di credenze e pratiche, le chiese atee si sono ritagliate una nicchia. Che ha bisogno di una definizione. In quasi tutti i paesi occidentali, compresi i relativamente devoti Stati Uniti, è in crescita il numero di persone che non rivendicano un’affiliazione religiosa (note come religious nones, religione: nessuna). Ma questo non equivale sempre a essere atei.
Un’indagine dell’istituto Pew Research ha mostrato che la proporzione di statunitensi che si dichiara priva di affiliazione religiosa è salito dal 16 per cento del 2007 al 23 per cento del 2014. Questa seconda statistica include il 3 per cento della popolazione totale che si definisce atea e il 4 per cento che si considera agnostica.
Un altro istituto di sondaggi, il Public religion research institute (Prri) riferisce che, tra gli statunitensi privi di affiliazione, il 22 per cento crede in un dio personale, il 37 per cento in uno impersonale, e il 33 per cento sostiene di non credere in Dio. D’altra parte molte persone che non possiedono un’etichetta religiosa non sono certe delle loro convinzioni. Secondo quanto rilevato dal Prri, un quarto dei cattolici dubita talvolta dell’esistenza di Dio.
E quindi dove si posizionano le chiese atee all’interno di questo spettro? Naturalmente attirano persone la cui visione del mondo rifiuta il sovrannaturale. Ma a modo loro stanno facendo (come affermano loro stesse) quello che fanno le comunità religiose, semplicemente senza riferimenti a dio e al sovrannaturale.
Si tratta di persone che hanno perso la fede nel sovrannaturale ma continuano a desiderare uno spirito di comunità
Prendete per esempio la North Texas church of freethought (Chiesa del libero pensiero del Texas del nord), creata nel 1994 da un dottore, Tim Gorsky, nell’area solitamente molto religiosa di Dallas-Fort Worth. Le sue attrattive includono le “scuole domenicali”, dove vanno i bambini quando i genitori frequentano le “funzioni”. Ma invece di storie bibliche raccontate come storie vere, questa scuola domenicale aiuta i giovani a sviluppare capacità di comprensione e di pensiero che li aiuteranno nelle relazioni con i compagni di scuola che vengono da famiglie più religiose.
Il sito web elenca le convinzioni dei suoi appassionati fondatori, secondo i quali solo la scienza possiede le chiavi di una realtà obiettiva, mentre la religione parla ai bisogni soggettivi di ciascuno. Durante gli incontri si discute di storia, morale, problemi personali e sociali, si ascolta musica e si viene a conoscenza di importanti scoperte scientifiche.
Phil Zuckerman, professore di sociologia e studi laici presso il Pitzer College in California, descrive così questo fenomeno delle chiese atee: una “piccola sottocategoria” di persone che ha perso la fede nel sovrannaturale ma continua a desiderare uno spirito di comunità e norme di comportamento tipiche dell’esperienza religiosa.
Negli ultimi anni la “chiesa atea” più pubblicizzata e con più sedi sparse nel mondo è stata la Sunday Assembly, creata a Londra nel 2013 da Sanderson Jones (un ex responsabile vendite per la rivista The Economist) e Pippa Jones, entrambe persone con alle spalle esperienze di teatro comico. Oggi conta 55 sedi, nel Regno Unito, in Europa continentale, America del nord e Australia, con un totale di circa 3.500 partecipanti regolari. La spettacolare crescita che sembrava possibile all’inizio non è stata raggiunta, ma il movimento si è trasformato, con modalità interessanti. All’insegna del motto “vivi meglio, aiuta spesso, poniti più domande”, offre ai partecipanti la possibilità di cantare e ridere insieme, di riunirsi per svolgere lavori utili, e di contemplare la realtà in uno spirito non di devozione tradizionale bensì di stupore.
Sono state tratte molte lezioni, spiega Jones, soprattutto sul modo in cui un’iniziativa può conciliarsi in maniera costruttiva con i bisogni di altre persone. La sede di Londra est, per esempio, viene usata da un’associazione per il diritto all’alloggio come uno strumento per aiutare le persone i cui problemi, psicosomatici o psicologici, potrebbero essere attenuati unendosi a una comunità. Nella sede di Los Angeles la responsabile sostiene di applicare i princìpi imparati mentre lavorava alla campagna presidenziale di Barack Obama nel 2012. Secondo alcuni sondaggi una netta maggioranza delle persone che frequentano l’assemblea ottiene una maggiore “soddisfazione di vita” grazie alla partecipazione.
Per la sensibilità di alcuni scettici, sia la comunità di Dallas sia l’organizzazione di Jones somigliano troppo alle normali chiese. Ma queste “chiese atee” possono essere descritte come una sorta di religione? Per Walther, fondatore del gruppo di Seattle, la risposta è un deciso “sì”. Ma Zuckerman è più sfumato. “Se si definisce la religione semplicemente come una credenza in dio o in esseri sovrannaturali, allora queste chiese non sono così religiose”, dice. “Ma se si definisce la religione in maniera più ampia, in base al senso d’appartenenza e al comportamento… allora rientra in questa categoria”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo di H. G. è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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