La città di Beppu, sull’isola di Kyūshū, la più meridionale delle grandi isole giapponesi, è una località molto frequentata per le sue fonti termali. Ogni venerdì una folla di donne e uomini musulmani si riunisce in una moschea, in un modesto edificio di quattro piani. Molti sono giovani che frequentano la Ritsumeikan Asia Pacific university (Apu), vicino a Beppu, e lavorano part-time negli alberghi della zona. Altri invece sono arrivati per lavorare nei cantieri navali e sulle imbarcazioni da pesca, impieghi per cui la manodopera locale, sempre più anziana e meno numerosa, non basta più.
Negli ultimi anni, in seguito agli sforzi del governo per attirare lavoratori e studenti dall’estero, le file dei credenti si sono infoltite. Secondo i dati riportati da Tanada Hirofumi dell’università Waseda, la popolazione musulmana è più che raddoppiata nello scorso decennio, passando dai 110mila credenti nel 2010 ai 230mila della fine del 2019 (la cifra comprende i circa 50mila giapponesi convertitisi all’islam). Il paese ha più di centodieci moschee. Come osserva Muhammad Tahir Abbas Khan, professore all’Apu e presidente della Beppu muslim association (Bma), è un cambiamento positivo. Nel 2001, quando lui appena laureato arrivò dal Pakistan, c’erano solo 24 moschee in tutto il Giappone e nessuna nel Kyūshū.
Anche se i musulmani posso pregare, hanno ancora molti problemi per trovare un posto degno per la sepoltura. In Giappone circa il 99 per cento dei defunti viene cremato, ma questa pratica non è ammessa dall’islam. Il governo centrale non ha previsto misure per andare incontro alle esigenze degli stranieri con usanze diverse da quelle giapponesi, in parte perché i lavoratori stranieri sono considerati “gente di passaggio” e non migranti. Nella maggioranza delle prefetture giapponesi, compresa quella di Ōita, dove si trova Beppu, non ci sono cimiteri musulmani.
L’aiuto di un monaco
Da anni la Bma è impegnata nella battaglia per costruire un cimitero musulmano a Hiji, un conglomerato di piccoli centri abitati sparsi sulle colline che sovrastano Beppu, ma l’opposizione degli abitanti ha fatto arenare il progetto. “Se morissi oggi, non so dove sarei sepolto”, dice preoccupato Muhammad Tahir Abbas Khan.
Le polemiche per la costruzione del cimitero hanno innescato un dibattito più ampio sul ruolo degli stranieri nella società. Alcuni giapponesi hanno accettato gli stranieri e i loro costumi diversi. “Dal momento che sono diventati giapponesi, dovremmo interessarci di loro e della loro cultura”, sostiene Yumiko Kawabe, esponente dell’amministrazione comunale favorevole al cimitero. “Anche una piccola città può essere cosmopolita e speciale”, aggiunge. Ma altre persone non sono d’accordo: “Se prendessero la cittadinanza giapponese, dovrebbero adeguarsi ai costumi locali e cremare i defunti”, afferma Kiyotaka Eto, un componente del consiglio comunale che ha lanciato la petizione contro il cimitero.
A molti abitanti di Hiji l’idea di seppellire i morti suscita una sensazione sgradevole
La Beppu muslim association aveva cominciato a muoversi per cercare un terreno da destinare alle sepolture circa dieci anni fa. La comunità cattolica aveva proposto di condividere il suo cimitero, ma l’associazione ne voleva uno interamente dedicato ai musulmani. Le trattative con le autorità locali erano a un punto morto quando è arrivato un monaco buddista che ha aiutato la Bma a trovare un appezzamento di terreno non lontano da un monastero trappista con un cimitero in disuso. Secondo Khan, il gruppo ha investito tra i 60 e i 70 milioni di yen (tra i 582mila e i 679mila dollari) e quasi tre anni di lavoro nel progetto. Oggi il cimitero cattolico è pieno, ma con l’avvicinarsi dell’inizio dei lavori gli abitanti delle frazioni circostanti hanno sollevato nuove questioni. C’è il rischio che i corpi sepolti contaminino le riserve d’acqua? In caso di terremoto, i cadaveri potrebbero rotolare giù per la collina?
A molti abitanti di Hiji l’idea di seppellire i morti suscita una sensazione sgradevole. “Non è qualcosa di concreto, è più una sensazione”, dice Kiyotaka Eto. “Non riusciremmo più a bere l’acqua senza provare disagio”.
Eto vive in un piccolo sobborgo di case tradizionali e terrazzamenti per la coltivazione del riso. Così hanno vissuto i suoi antenati per secoli, almeno da quattro generazioni. Non aveva mai incontrato un musulmano prima che cominciassero le consultazioni sul cimitero. Non ha nulla contro l’islam, dice, ma teme che qualche batterio possa infiltrarsi nel bacino idrico che si trova vicino al terreno scelto per il cimitero. “Se il governo vieta l’inumazione”, dice, “dev’esserci qualche problema sotto”.
La signora Kawabe, invece, si chiede se i suoi compatrioti siano davvero preoccupati per l’acqua. Qualsiasi prova scientifica che smentisce la pericolosità delle sepolture viene ignorara. Per il suo appoggio alla costruzione del cimitero, Kawabe ha ricevuto lettere e telefonate di protesta. “Se sei giapponese perché stai dalla parte dei musulmani?”, mi chiedono. Le persone del posto vivono con preoccupazione l’influenza culturale degli stranieri e la prospettiva dell’apertura di una scuola islamica. “Hanno paura”, ammette dispiaciuta.
È una vergogna, dice Khan, perché il Giappone è “un bel posto per vivere”. I migranti musulmani apprezzano la sicurezza, la pulizia e l’ordine che trovano nel paese. “Anzen, anzen” (una parola che in giapponese significa sicurezza) rispondono i pescatori indonesiani di Tokyo quando sono intervistati sulla loro vita in Giappone. “Le persone sono gentili”, afferma Ben Mandaliev, arrivato dall’Uzbekistan con una borsa di studio per economia e commercio. I suoi colleghi di lavoro hanno accettato il fatto che deve pregare cinque volte al giorno, anzi ormai sono loro a ricordargli quando è l’ora della preghiera. Anche se gli stereotipi negativi sull’islam sono tanti, la maggior parte dei giapponesi ne ha poca conoscenza e rimane aperta di mente.
In un modo o nell’altro si stanno facendo dei passi avanti verso l’integrazione. Nell’aeroporto di Fukuoka è stata allestita una sala per la preghiera, dice Muhammad Tahir Abbas Khan. I negozi e ristoranti halal sono ancora pochi, ma ne vengono continuamente aperti di nuovi. Le autorità della prefettura di Oita si sono rivolte alla Beppu muslim association per organizzare un sistema di certificazione per i ristoranti locali. Alcuni impianti termali vendono addirittura dei costumi da bagno a pantaloncino per i visitatori musulmani. La comunità di Beppu ha conquistato gli abitanti della città cucinando e distribuendo viveri alle persone sfollate dopo il terremoto del 2016, inoltre organizza feste annuali e cene gratuite nella moschea per creare buoni rapporti con i vicini giapponesi. “Stiamo cercando di integrarci”, dice Khan. “Abbiamo adottato il Giappone come nostro paese”.
(Traduzione di Maria Chiara Benini)
L’originale di questo articolo è apparso sull’Economist.
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