Entro i prossimi vent’anni la Terra raggiungerà inevitabilmente la soglia critica del riscaldamento globale, con un aumento delle temperature di 1,5 gradi a causa al cambiamento climatico, e questo anche se i governi di tutto il mondo dovessero ridurre radicalmente le emissioni di gas serra.

Lo afferma il rapporto sulla situazione climatica concordato il 6 agosto da 196 paesi e reso pubblico il 9 agosto dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), che ha definito “inequivocabile” il ruolo degli esseri umani nel provocare il cambiamento climatico, un termine molto più forte rispetto all’aggettivo “chiaro” usato otto anni fa.

I ricercatori hanno precisato che ognuno degli ultimi quattro decenni è stato progressivamente più caldo rispetto a qualsiasi decennio precedente a partire dal 1850, e hanno sottolineato che in mancanza di una forte riduzione delle emissioni si verificherà un aumento degli eventi meteorologici estremi. Il 2021 è stato già segnato da devastanti alluvioni e ondate di calore, dal Canada alla Cina. “Il cambiamento climatico non è un problema del futuro, è un problema del presente e colpisce ogni regione del mondo”, spiega Friederike Otto dell’università di Oxford, tra gli autori principali dell’Ipcc.

Nel peggiore dei cinque scenari sull’evoluzione futura delle emissioni globali, il mondo affronterebbe un catastrofico aumento medio della temperatura di 4,4 gradi entro il 2100. In tutti e cinque gli scenari illustrati, nei prossimi vent’anni l’aumento medio della temperatura mondiale rispetto al periodo preindustriale raggiungerà o supererà la soglia dei 1,5 gradi, il limite più ambizioso fissato negli Accordi di Parigi del 2015, che avevano previsto anche l’obiettivo di mantenere il riscaldamento entro i due gradi.

Alcuni cambiamenti saranno irreversibili per secoli o millenni, a prescindere da quali saranno i tagli alle emissioni nei prossimi anni

La buona notizia è che nello scenario migliore, se venisse realizzato un azzeramento delle emissioni nette e la loro rimozione dall’atmosfera, il surriscaldamento scenderebbe a 1,4 gradi entro il 2100. “Gli obiettivi di 1,5 o due gradi non sono i bordi di un precipizio”, spiega Ed Hawkins dell’università britannica di Reading, tra gli autori del rapporto dell’Ipcc. “Superare quella soglia non vuol dire che precipitiamo verso il baratro. Ogni minima variazione è importante. Ma le conseguenze peggiorano mano a mano che aumenta la temperatura. Ogni tonnellata di CO2 è importante”.

Tra le conseguenze di cui parla Hawkins ci sono un aumento del calore estremo, precipitazioni più abbondanti e imprevedibili simili a quelle che hanno causato le recenti inondazioni in Germania, maggiore perdita di neve e scioglimento del permafrost. Secondo tutti gli scenari relativi alle emissioni, l’Artico sarà completamente privo di ghiaccio in estate almeno una volta entro il 2050, mettendo ulteriormente a repentaglio la sopravvivenza degli orsi polari e accelerando il surriscaldamento, dato che una quantità minore di energia solare verrebbe riflessa verso lo spazio.

Il rapporto si concentra più dei suoi predecessori su esiti “poco probabili” ma potenzialmente disastrosi, che diventano sempre più probabili con l’incremento progressivo delle temperature. “Non possiamo escludere reazioni improvvise e fasi critiche del sistema climatico, come un aumento sostanzioso dello scioglimento della calotta antartica o del deperimento forestale”, sottolineano gli autori. Le nuove ricerche su un possibile collasso delle calotte di ghiaccio in base agli scenari con le emissioni maggiori indicano un innalzamento medio del livello del mare fino a 1,88 metri entro il 2100, quasi il doppio rispetto alle precedenti previsioni.

Alcuni cambiamenti, come l’acidificazione dell’oceano, saranno irreversibili per secoli o millenni, a prescindere da quali saranno i tagli alle emissioni nei prossimi anni. “Ma più limitiamo il surriscaldamento e più possiamo rallentare questi cambiamenti a lungo termine”, spiega Tamsin Edwards autore dell’Ipcc e dipendente del King’s College di Londra.

“Saranno le nostre attività e le nostre scelte a determinare cosa accadrà nei prossimi decenni e secoli”, sottolinea Joeri Rogelj dell’Imperial College di Londra, uno degli autori dell’Ipcc. Oggi l’umanità emette circa 40 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Lo scenario con la maggiore riduzione delle emissioni prevede di portare la quantità attorno ai cinque miliardi di tonnellate entro il 2050. Uno scenario intermedio prevede nel 2050 emissioni simili ai livelli attuali. Lo scenario con le emissioni maggiori prevede un raddoppiamento dei livelli. Secondo Rogelj, considerando che non tutte le promesse dei governi in merito all’azione climatica sono state tradotte in misure politiche, attualmente ci situiamo tra lo scenario intermedio e quello con le emissioni maggiori. In questa prospettiva l’aumento della temperatura sarebbe rispettivamente di 2,7 e 3,6 gradi.

Modificare la rotta per avvicinarci allo scenario con le emissioni minori – l’unico in cui il surriscaldamento potrebbe ridursi fino a tornare sotto gli 1,5 gradi – sarà l’obiettivo principale dei quasi duecento paesi che a novembre si incontreranno a Glasgow per il vertice sul clima Cop26.

Secondo Piers Foster, professore dell’università di Leeds e tra gli autori dell’Ipcc, il rapporto indica chiaramente che l’azzeramento delle emissioni nette può stabilizzare le temperature. “La buona notizia è che possiamo essere certi del fatto che la riduzione delle emissioni a breve termine possa rallentare il ritmo di un surriscaldamento senza precedenti”.

Il rapporto – Physical science basis summary for policy makers, scritto dal Working Group I dell’Ipcc – rafforza molte delle affermazioni proposte nel 2013, soprattutto grazie alla raccolta di prove a alla combinazione tra i modelli e le osservazioni, oltre che alla migliore comprensione dei processi fisici.

Il rapporto dell’Ipcc ha un peso importante perché è “sottoscritto” da 195 governi, i cui rappresentanti hanno firmato il documento nelle ultime due settimane. L’anno prossimo il rapporto attuale sarà seguito da altri due studi sull’impatto e le soluzioni al cambiamento climatico.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato su New Scientist.

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