Il 4 marzo 2024 parlavamo su Artificiale di un lavoro di Henry Jenkins del 2007, Cultura convergente (Apogeo). Il libro serviva come spunto per fare una previsione facile: “Anche nel campo delle intelligenze artificiali succede ciò che Jenkins aveva analizzato e prefigurato: cultura e tecnologie convergono. Lo fanno in maniera molto rapida. Dal punto di vista tecnologico, questo significa che le intelligenze artificiali vengono inserite in strumenti che usavamo già”.
Apple intelligence è esattamente questo: un’integrazione delle intelligenze artificiali generative che, fino a oggi, abbiamo dovuto cercare su siti o app dedicate. Lunedì 10 giugno alla Worldwide developer conference, la Apple ha annunciato che entro la fine del 2024 – non dimentichiamoci che gli eventi di presentazione nella Silicon Valley sono sempre o quasi sempre anticipazioni di quel che verrà, spesso anche con ampio margine – le persone che utilizzano i prodotti dell’azienda troveranno un sistema di intelligenze artificiali al loro interno, a livello di sistema operativo.
L’operazione ha suscitato interesse in tutto il mondo, soprattutto per le questioni legate alla privacy. Dalla Apple garantiscono che tutta l’operazione verrà fatta salvaguardando la privacy delle persone: non tutti credono che questo sarà davvero possibile. Cliff Steinhaure, direttore della sicurezza informatica della National cybersecurity alliance è soddisfatto delle dichiarazioni sul tema ma “resta da vedere come verranno applicate”.
Fra chi pensa che tutela della privacy e ia non vadano d’accordo c’è anche Elon Musk che, in un post su X, il suo social network, ha scritto: “Se la Apple integra la OpenAi a livello di sistema operativo, allora gli strumenti della Apple saranno banditi dalle mie aziende. Questa è una violazione di sicurezza inaccettabile. E i visitatori dovranno lasciare i loro strumenti della Apple all’ingresso, dove saranno custoditi in una gabbia di Faraday”.
Per chi non ha ricordi di fisica: le gabbie di Faraday sono dei contenitori fatti di materiale conduttore che isolano l’interno del contenitore stesso. Nel caso di strumenti che si possono connettere a internet, per esempio, la gabbia di Faraday inibisce la connessione. Come accade da parecchio tempo a questa parte è impossibile stabilire se Musk stia parlando sul serio o meno. La sua strategia comunicativa è la costante occupazione degli spazi social con esternazioni che poi, per forza di cose, vengono riprese a mezzo stampa (in effetti ne stiamo parlando anche qui).
Comunque, piaccia o non piaccia a Musk, sembra proprio che presto avremo le intelligene artificiali in tasca e nel computer. Una volta che sarà accaduto e le daremo per scontate come diamo per scontata una calcolatrice, moltissime persone le utilizzeranno senza sapere cosa siano e cosa facciano o possano fare davvero e chi avrà già una formazione in merito sarà sempre e comunque in vantaggio. Non è troppo tardi per colmare questo divario, ma non è nemmeno abbastanza presto da pensare che questa ennesima transizione sarà indolore. Senza contare i problemi che sottolineiamo spesso: i costi nascosti, energetici e ambientali, l’opacità, gli sfruttamenti delle persone che lavorano perché queste tecnologie siano possibili.
C’è un’altra previsione facile che si sta realizzando sempre di più: siccome la Apple ha deciso di fare un accordo con la OpenAi, prosegue quel fenomeno che Jenkins aveva individuato nella concentrazione del potere sul controllo dei media.
Ironicamente, le attività delle autorità antitrust degli Stati Uniti relativamente al mondo delle ia non riguardano (ancora) la Apple, che però è già sotto indagine da parte delle medesime autorità per altre questioni, legate prevalentemente al suo negozio online di applicazioni, l’Apple Store.
Ancora una volta le intelligenze artificiali si rivelano specchio delle contraddizioni del mondo capitalistico e molto più che semplici “pappagalli stocastici”, come vorrebbe qualcuno.
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