Nell’ultimo anno le aziende assicurative hanno aumentato drasticamente il prezzo delle polizze per le auto elettriche, che ora sono molto più care di quelle riservate ai veicoli con motore tradizionale, scrive il Financial Times. Secondo alcune stime, nell’ultimo anno nel nuovo settore i costi assicurativi sono cresciuti del 72 per cento, contro il 29 per cento registrato per le auto con motore a combustione.

Nel Regno Unito la John Lewis ha sospeso la vendita delle polizze sulle auto elettriche in attesa che siano rivalutati i costi legati ai veicoli. Il problema, spiega il quotidiano britannico, è che un’auto elettrica ha tariffe e tempi di riparazione nettamente più lunghi: rispettivamente del 25 e del 14 per cento in più rispetto alle auto tradizionali. I pezzi di ricambio e i tecnici specializzati sono più difficili da trovare. A questo si aggiunge il fatto che le compagnie assicurative hanno ancora una mole di dati ristretta per elaborare previsioni affidabili sui guasti e gli incidenti delle auto elettriche.

Inoltre, le batterie, il componente più costoso (può valere fino alla metà dell’intero veicolo), sono estremamente delicate e possono guastarsi in modo imprevedibile. “Questa combinazione di costi alti e prestazioni altalenanti significa che molte auto elettriche vengono ritirate per problemi che le auto tradizionali superano facilmente”, conclude il Financial Times.

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Proprio mentre questa nuova tecnologia comincia a registrare un’ampia diffusione (nel numero di Economica uscito il 20 ottobre spiegavo che negli Stati Uniti il momento in cui le auto elettriche e quelle tradizionali cominceranno ad avere più o meno lo stesso prezzo è più vicino di quanto si pensi), si comincia a temere che il nascente mercato dei veicoli con motore elettrico stia andando incontro a un primo riassestamento (o, se vogliamo, all’esplosione di una bolla) dopo lo slancio iniziale favorito dall’entusiasmo di investitori e consumatori e dagli incentivi pubblici.

Craig Irwin, analista della Roth Capital Partner, ha parlato a Bloomberg di un atteggiamento “troppo aggressivo nell’adozione dell’auto elettrica”, aggiungendo che “siamo di fronte a un adeguamento alla realtà”. Questo riassestamento riguarda innanzitutto l’azienda pioniera e leader del mercato, la Tesla. Dopo anni di crescita senza precedenti la casa fondata da Elon Musk “comincia ad annaspare”, registrando un sostanzioso indebolimento della domanda, a cui ha cercato di rispondere tagliando i prezzi.

Sono negative anche le prospettive di altri gruppi che hanno investito nel settore, come la General Motors, la Mercedes-Benz e la Honda. La General Motors ha dichiarato che intende rivedere i suoi obiettivi di mercato, la Honda ha dimezzato gli investimenti, la Mercedes ha definito la guerra dei prezzi in corso “insostenibile”. Gli investitori, che finora avevano considerato l’auto elettrica un settore destinato a crescere ancora a lungo, potrebbero rivedere le loro posizioni, mandando giù il prezzo delle azioni e riducendo i finanziamenti disponibili per i nuovi progetti. Dal 18 ottobre, quando ha presentato gli ultimi risultati di bilancio, le azioni della Tesla hanno perso il 14 per cento del loro valore.

L’adeguamento alla realtà dell’auto elettrica passa anche attraverso la vertenza sindacale aperta negli Stati Uniti dalla United automotive workers (Uaw) contro i principali costruttori automobilistici del paese: la General Motors, la Ford e la Stellantis. Dopo un mese e mezzo di dure proteste il 30 ottobre il sindacato ha annunciato accordi preliminari con i tre gruppi, che dovrebbero garantire ai lavoratori gli aumenti in busta paga più generosi degli ultimi decenni. Una grande vittoria, che però non fuga le nubi rappresentate dalla transizione verso l’auto elettrica.

Come ho scritto nel numero di Economica uscito il 22 settembre, gli ingenti investimenti nell’elettrico non producono per ora utili e in prospettiva potrebbero provocare perdite di posti di lavoro, dal momento che i nuovi veicoli possono essere fabbricati con l’impiego di meno componenti e meno lavoratori. Inoltre, la loro produzione avviene principalmente in impianti che impiegano lavoratori non iscritti al sindacato, decisamente più convenienti visto che ricevono salari più bassi. La questione dimostra che è in gioco il futuro stesso del sindacato. Non è un caso, infatti, che uno degli obiettivi futuro indicati da Shawn Fain, il leader della Uaw, sia sindacalizzare i lavoratori del settore che non hanno ancora una rappresentanza. La prossima grande sfida di Fain, sottolinea il Wall Street Journal, potrebbe essere quella contro Elon Musk e sarebbe davvero “epica”.

La transizione verso l’auto elettrica ha messo in difficoltà anche la Toyota, leader mondiale per numero di veicoli venduti. Nel 2021 la casa giapponese aveva inaugurato tra grandi aspettative un’unità tecnologica incaricata di sviluppare software per le sue auto che s’imponessero come uno standard per l’intero settore. Uno dei progetti prevedeva la costruzione di una nuova città, Woven City, alle pendici del monte Fuji, dove sperimentare auto con guida autonoma, robot e produzione di energia elettrica partendo dall’idrogeno.

Ebbene, racconta il Wall Street Journal, a due anni di distanza tutti questi investimenti sono stati ridotti drasticamente. Non c’è traccia del software che doveva permettere agli automobilisti di aggiornare i loro veicoli con connessioni wireless, come un comune telefonino, né della città vicino al monte Fuji.

Akio Toyoda, nipote del fondatore e amministratore delegato del gruppo dal 2009 al gennaio del 2023, ha lasciato il comando a Koji Sato, dichiarando che ci vuole gente più giovane e con idee nuove per affrontare la transizione. Toyoda non ha mai nascosto i suoi dubbi sull’idea che l’auto elettrica sia l’unica soluzione per la mobilità del futuro. I progetti del 2021 per il momento non hanno retto il confronto con la realtà. Ma è bene ricordare che tutti i progressi e i grandi cambiamenti economici sono sempre partiti da un sogno, che spesso viene realizzato lentamente, spesso dopo molti passi falsi e marce indietro.

D’altronde lo stesso Toyoda nel 2020, poco prima di lanciare Woven City, in occasione di una conferenza interna “invitò i dipendenti a sognare in grande, aggiungendo che aveva sempre avuto difficoltà a incoraggiare l’innovazione dentro la Toyota, perché era un gruppo in cui si tendeva a prendere le decisioni solo in base a ciò che si conosceva già”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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