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L’auto elettrica costa ancora troppo

Berlino, Germania 19 settembre 2023. (John MacDougall, Afp)

Quest’anno in Germania le vendite di auto elettriche dovrebbero diminuire del 14 per cento, il primo calo dal 2016. È quanto prevede il Verband der Automobilindustrie (Vda), l’associazione che rappresenta le case automobilistiche tedesche. Secondo il Vda, sul risultato peseranno i tagli ai sussidi decisi dal governo a dicembre, che renderanno le auto elettriche meno convenienti di quelle con motore a combustione e ibride. Dietro il rallentamento ci sono anche altri fattori. Per esempio la carenza di investimenti nelle infrastrutture legate alla nuova tecnologia, in particolare le colonnine per la ricarica delle batterie: nell’ottobre del 2022 Berlino aveva annunciato un piano di 6,3 miliardi di euro per installarne almeno un milione in tutto il paese entro il 2030; ma nel settembre del 2023 ce n’erano appena 105mila, e secondo il Vda occorre triplicare gli sforzi per raggiungere l’obiettivo. Pesano inoltre i costi di manutenzione.

Nell’ultimo anno, racconta il Financial Times, le aziende assicurative hanno aumentato drasticamente il prezzo delle polizze per le auto elettriche: secondo alcune stime, è cresciuto del 72 per cento, contro il 29 per cento registrato per le auto con motore a combustione. Il problema, spiega il quotidiano britannico, è che un’auto elettrica ha tariffe e tempi di riparazione nettamente più lunghi: rispettivamente del 25 e del 14 per cento in più rispetto alle auto tradizionali. I pezzi di ricambio e i tecnici specializzati sono più difficili da trovare. A questo si aggiunge il fatto che le compagnie assicurative hanno ancora una mole di dati ristretta per elaborare previsioni affidabili sui guasti e gli incidenti delle auto elettriche. Inoltre le batterie (il componente più costoso: può valere fino alla metà dell’intero veicolo) sono estremamente delicate e possono guastarsi in modo imprevedibile.

Il fattore più influente tuttavia resta il prezzo dei veicoli, sottolinea Bloomberg. Berlino prevede che entro il 2030 sulle strade tedesche circoleranno quindici milioni di auto elettriche. Ma nel novembre del 2023 ce n’erano appena un milione, pari al 2 per cento di tutte le vetture. E secondo gli esperti, senza i sussidi sarà molto difficile realizzare le aspettative di Berlino. “Penso che oggi siano irrealistiche”, ha dichiarato Jan Burgard, analista della società di consulenza Berylls. Non a caso le aziende automobilistiche tedesche stanno rivedendo i loro piani. La Audi sta ridimensionando la sua unità dedicata ai veicoli elettrici, mentre la Volkswagen venderà una quota della sua azienda che si occupa di batterie. Se questi problemi dovessero diventare una tendenza di lungo periodo, metterebbero a rischio investimenti miliardari nel settore e impedirebbero alle aziende automobilistiche di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni e la decisione dell’Unione europea di vietare la vendita di veicoli con motore a combustione dal 2035.

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Il problema è aggravato dall’arrivo sui mercati globali delle auto elettriche prodotte in Cina. Nel quarto trimestre del 2023 la casa automobilistica cinese Byd ha superato la statunitense Tesla nelle classifiche delle vendite mondiali, dopo essere passata avanti alla Volkswagen, e nel 2024 si appresta a diventare il leader assoluto del settore. Questo risultato è dovuto in gran parte alla crescita eccezionale del mercato cinese, ma nella seconda metà del 2023 l’azienda ha triplicato le vendite all’estero. In Germania, racconta la Süddeutsche Zeitung, nel 2023 la Byd ha venduto 4.135 auto, pari allo 0,1 per cento del mercato. Ma il modello Dolphin costava cinquemila euro in meno rispetto all’Id.3 della Volkswagen. “Dopo che il governo tedesco ha deciso di tagliare i sussidi, la Volkswagen ha ridotto il prezzo dell’Id.3 a 32.975 euro, ma la Byd ha subito risposto con uno sconto del 15 per cento”.

Questa straordinaria competitività è legata senza dubbio ai progressi tecnologici delle aziende cinesi, al basso costo del lavoro del paese asiatico, ma anche ai generosi incentivi offerti dal governo. Come ha scritto sul Financial Times l’analista Yanmei Xie, “nel 2009 Pechino ha dichiarato l’auto elettrica ‘un’industria emergente strategica’ e ha cominciato a inondarla di sussidi, che nel momento di massima espansione raggiungevano i 19mila dollari a vettura, in aggiunta alle agevolazioni fiscali per i costruttori. Dalle misure erano escluse le aziende straniere”. È per questo che a settembre l’Unione europea ha deciso di aprire un’indagine antidumping, alla fine della quale Bruxelles potrebbe imporre pesanti dazi (attualmente sono al 10 per cento) per contrastare la concorrenza cinese. Nel 2022 la Byd ha ricevuto sussidi pari a due miliardi di dollari, in gran parte per l’apertura di nuovi impianti. Nel corso degli anni questo sistema, unito al dominio nel mercato dei metalli indispensabili alla produzione di batterie, ha permesso alla Cina di costruire un’industria competitiva. In futuro, quindi, l’Europa dovrebbe allinearsi agli Stati Uniti, che impongono già dazi del 25 per cento sulle auto cinesi e inoltre assicurano sussidi solo ai produttori nazionali.

La difficile transizione verso il motore elettrico ovviamente riguarda tutte le grandi industrie automobilistiche. Compresa quella italiana, intorno alla quale nelle ultime settimane si è acceso uno scontro tra il governo di Roma e la Stellantis, il gruppo nato nel 2021 dalla fusione tra la Fiat Chrysler e la francese Psa (Peugeot, Citroën, Ds Automobiles, Opel e Vauxhall Motors). La presidente del consiglio Giorgia Meloni vuole che la Stellantis aumenti la sua produzione italiana da 750mila a un milione di veicoli all’anno e ha accusato il gruppo di disinteressarsi dell’Italia. Il contrario, sostiene Meloni, di quello che avviene in Francia, dove il governo di Parigi ha una quota del 6 per cento nel capitale sociale. In particolare Roma vorrebbe impedire il trasferimento di impianti verso paesi con un costo del lavoro più basso.

Ma Carlos Tavares, l’amministratore delegato della Stellantis, ha risposto che una produzione sostenibile in Italia, soprattutto dei modelli di fascia bassa, non può prescindere per il momento dai sussidi pubblici, sia verso le aziende sia verso i consumatori. Secondo gli esperti del settore, infatti, per contrastare la concorrenza cinese è necessario vendere le auto elettriche più piccole a prezzi compresi tra i dodicimila e i quindicimila euro, un obiettivo che, in assenza di aiuti (una spesa che il dissestato bilancio pubblico italiano non è in grado di sostenere), può essere raggiunto solo spostandosi dall’Unione europea verso il Marocco e la Serbia. In Italia, ha precisato Tavares, è possibile ancora produrre modelli di auto elettriche di fascia alta. Gli operai dello stabilimento torinese di Mirafiori, dove si produce la 500 elettrica, sono entrati in agitazione temendo la chiusura definitiva dell’impianto. Si teme un epilogo simile anche per la fabbrica di Pomigliano.

Questa logica non risparmia neanche la Francia: nell’estate del 2023 il ministro francese delle finanze Bruno Le Maire aveva chiesto alla Stellantis di “mostrare un po’ di ‘patriottismo economico’” e costruire più auto elettriche di fascia bassa in Francia. Tavares gli aveva risposto che era impossibile nei paesi con un costo del lavoro relativamente alto e che non aveva intenzione di spostare la produzione della Peugeot 208 elettrica dalla Spagna alla Francia.

In questi giorni il manager portoghese è tornato sull’argomento dichiarando: “Siamo di fronte a uno scenario brutale. Da un lato dobbiamo competere con concorrenti cinesi che hanno prezzi più bassi del 25 per cento e dall’altro siamo costretti ad affrontare un aumento dei costi pari al 40 per cento causato dall’elettrificazione dell’auto”. Secondo Tavares, l’alto costo della transizione, aggravato dalla decisione di Bruxelles di vietare il motore termico dal 2035, produrrà nel settore automobilistico una corsa al consolidamento e quindi “un bagno di sangue”, una selezione “darwiniana” da cui usciranno vivi i gruppi che si attrezzeranno meglio per la nuova era.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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