Nel 2023 negli Stati Uniti sono arrivate 3,3 milioni di persone in più rispetto a quelle andate via, quasi quattro volte i livelli dello scorso decennio. In Canada sono arrivati 1,9 milioni di immigrati, nel Regno Unito 1,2 milioni, in Australia 740mila. In Canada e in Australia, in particolare, il saldo migratorio netto è più che raddoppiato rispetto al periodo precedente la pandemia di covid-19. Nel Regno Unito è stato tre volte e mezzo quello del 2019.
“I paesi ricchi”, commenta l’Economist, “stanno registrando un boom migratorio senza precedenti” che, come tutti i grandi movimenti di persone, produce “rilevanti conseguenze economiche”. Molti esperti, tra cui la capo economista del Fondo monetario internazionale Gita Gopinath, sottolineano che l’immigrazione aiuta a risolvere la mancanza di manodopera in molti settori e rafforza la domanda di beni e servizi, aiutando quindi la crescita del pil. Da anni, inoltre, i nuovi arrivi permettono ai paesi ricchi di contrastare il calo demografico causato dall’invecchiamento della popolazione e dal rallentamento delle nascite.
Tuttavia, aggiunge il settimanale britannico, il boom migratorio sembra aver ridotto il pil pro capite, un indicatore con cui si misura il tenore di vita di un paese. In Australia, per esempio, è diminuito o è rimasto invariato per quattro trimestri consecutivi, nel Regno Unito per sette. In Canada nel 2023 è sceso del 2 per cento, il calo più vistoso tra i paesi ricchi. Dati simili sono stati rilevati anche in Germania, in Islanda e in Nuova Zelanda.
Secondo gli esperti, questo riflette il fatto che l’ultima ondata migratoria è costituita per lo più da lavoratori poco qualificati: “Mentre prima della pandemia molte persone arrivate negli Stati Uniti erano laureate, spesso oggi sono lavoratori poco istruiti provenienti dalle zone più povere dell’America Latina e il più delle volte senza documenti. Nel 2023, infatti, 2,4 milioni persone sono entrate illegalmente nel paese attraversando il confine meridionale con il Messico”.
Il Financial Times racconta che gli immigrati senza documenti sono una componente importante dell’economia dello stato di New York, visto che formano il 10 per cento del personale nel settore edilizio, in quello dell’ospitalità e nell’assistenza sanitaria. Secondo una stima dell’American Immigration council, questi lavoratori assicurano entrate tributarie per tre miliardi di dollari.
Gli effetti dell’immigrazione sono molto più estesi. Riguardano anche l’inflazione e i conti pubblici (lo stato sociale riceve più contributi, ma allo stesso tempo deve spendere di più). Un aspetto rilevante, tuttavia, è quello della disponibilità di abitazioni, al centro di un’interessante inchiesta realizzata da Bloomberg in tredici economie sviluppate. Un tratto in comune dei paesi analizzati è proprio la carenza di alloggi associata a un peggioramento del tenore di vita. E a farne le spese sono i più deboli, in particolare gli immigrati e i giovani.
Un caso eclatante è il Canada. “Negli ultimi due anni”, scrive Bloomberg, “nel paese nordamericano sono arrivate 2,4 milioni di persone, più della popolazione del New Mexico, ma i nuovi alloggi disponibili sono pari agli abitanti di Albuquerque, la città più popolosa del New Mexico”. E così il prezzo mediano di un appartamento a Toronto oggi è di 1,3 milioni di dollari canadesi, quasi tre volte quello in una città come Chicago, negli Stati Uniti. Le tensioni scatenate dalla mancanza di abitazioni hanno spinto il primi ministro Justin Trudeau a ridimensionare le ambizioni del governo sull’immigrazione, bloccando l’aumento costante della soglia massima di permessi permanenti e mettendo un limite anche a quella dei permessi temporanei.
In un’epoca in cui tutti i paesi industrializzati sono alle prese con il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione, il Canada è da tempo all’avanguardia tra quelli che puntano sull’immigrazione per evitare il declino economico. Ha gli stessi abitanti della California, ma in un anno ha accolto nuovi residenti pari alla popolazione di San Francisco e nel giugno 2023 ha superato per la prima volta la soglia dei quaranta milioni di abitanti: l’anno scorso quasi un abitante su quattro era un immigrato, il rapporto più alto tra i paesi del G7. Ora, invece, Ottawa si propone di ridurre del 20 per cento nei prossimi tre anni i lavoratori immigrati con permesso temporaneo, gli studenti stranieri e i richiedenti asilo. Queste misure dovrebbero più che dimezzare il tasso di crescita della popolazione, portandolo a una media dell’1 per cento nel 2025 e nel 2026.
Il Canada non è un caso isolato, continua Bloomberg. L’Australia, per esempio, sta attraversando una delle peggiori crisi abitative della sua storia: le licenze per l’edilizia residenziale sono al punto più basso degli ultimi dodici anni, mentre molti cantieri vanno a rilento a causa della mancanza di lavoratori. Il governo ha cercato di risolvere il problema favorendo l’arrivo di nuovi immigrati, ma in seguito si è reso conto che così è aumentata la domanda di alloggi. A questo punto ha deciso di ridurre drasticamente i visti per gli studenti stranieri.
Intanto il centro studi indipendente Committee for economic development of Australia stima che tra il 2011 e il 2021 il divario tra i salari degli immigrati più recenti e quelli dei lavoratori nati in Australia si è allargato: in media un immigrato presente nel paese dai due ai sei anni guadagna il 10 per cento in meno rispetto a un collega australiano che fa lo stesso lavoro. Una situazione simile si è creata nella vicina Nuova Zelanda, dove il governo ha reagito introducendo l’obbligo per gli stranieri di conoscere la lingua inglese e riducendo il tempo massimo di soggiorno per i lavoratori poco qualificati.
L’analisi di Bloomberg ha rilevato difficoltà anche in Europa, in particolare in Germania, Francia, Austria e Svezia. Nel Regno Unito, inoltre, la carenza di alloggi ha fatto salire il prezzo delle case a un livello otto volte superiore al reddito medio dell’Inghilterra e del Galles (dodici volte a Londra). Nel 1997 era superiore di 3,5 volte (quattro a Londra). Sono aumentati in modo esorbitante anche gli affitti, mettendo in difficoltà soprattutto studenti, giovani e immigrati. E rafforzando il consenso dei populisti.
Aumenta, infatti, il risentimento degli elettori britannici, pronti a punire nelle urne il governo conservatore di Rishi Sunak, in alcuni casi preferendogli i populisti di destra di Reform Uk, che dicono di voler eliminare del tutto l’immigrazione. Ma intanto anche l’opposizione laburista, favorita alle prossime elezioni, promette di far ripartire l’edilizia e allo stesso tempo di contenere l’arrivo di lavoratori stranieri. Scenari simili sono ipotizzabili anche in altri paesi, compresa l’Italia, finché i governi non riusciranno a elaborare politiche – non solo nel campo dell’edilizia residenziale – in grado di coniugare immigrazione e crescita economica.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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