Dopo i massacri di giovani avvenuti recentemente in due regioni della Colombia (cinque a Cali e otto a Samaniego, rispettivamente l’11 e il 15 agosto), si è diffusa la sensazione che il paese sudamericano stia tornando al suo passato segnato dalla violenza. Nonostante il governo di Iván Duque sostenga che quest’anno il numero degli omicidi sia più basso dell’11 per cento rispetto al 2019, le organizzazioni internazionali denunciano omicidi di massa e attentati ai leader dei movimenti sociali nelle zone rurali.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr) ha richiamato il governo colombiano affinché “intraprenda tutte le azioni necessarie per porre fine a questa violenza”. Secondo dati dell’Onu, durante il mandato di Duque (cominciato il 7 agosto 2018) sono stati compiuti almeno 69 massacri, più altri sette casi su cui si sta indagando.
Jorge Restrepo, direttore del Centro di risorse per l’analisi dei conflitti (Cerac) esamina la situazione della sicurezza nel paese, individuando alcuni tratti salienti. “Al livello urbano, in linea generale, c’è stato un miglioramento sostanziale favorito dalla quarantena, e il numero di omicidi è calato come mai prima negli ultimi tre anni”, dichiara l’analista.
Forze militari fuori controllo
Il governo si fa forte di questo dato e della riduzione del numero di sequestri e delle estorsioni, ma gli osservatori come Restrepo segnalano che si tratta di effetti positivi successivi al conflitto, derivanti dall’accordo di pace tra le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e il precedente governo di Juan Manuel Santos. Certo, chiarisce Restrepo, “se da un lato si assiste a questo miglioramento della sicurezza dei cittadini, dall’altro aumentano le violenze politiche, le dispute e si intensifica il conflitto con la guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln)”, riferendosi agli omicidi di difensori dei diritti umani e di ex combattenti delle Farc, soprattutto nei villaggi lasciati dalla guerriglia.
La risposta del governo di fronte a qualsiasi attacco o massacro è un maggior dispiegamento di militari, soprattutto in regioni come quelle di Catatumbo, Cauca o Nariño, particolarmente colpite dai gruppi armati. Complicano il quadro nuovi gruppi di ribelli e di bande paramilitari che dopo l’accordo di pace hanno cominciato a contendersi il controllo delle vie del narcotraffico e di altri commerci illegali.
Già le forze armate avevano subìto un netto calo di credibilità, ma ora hanno raggiunto il punto più basso, come mai da vent’anni a questa parte.
Alcuni sondaggi realizzati da Invamer Gallup hanno rivelato come nello scorso giugno il favore nei confronti delle forze militari sia diminuito di 37 punti raggiungendo il 48 per cento; è un dato significativo per una delle istituzioni più importanti in un paese che ha trascorso oltre cinquant’anni in guerra con le Farc. I successivi scandali, le denunce riguardo la corruzione dei vertici militari, le esecuzioni di massa e, più di recente, l’apertura di indagini a carico di più di 70 militari per casi di violenza sessuale su minori, sono stati un altro colpo per l’istituzione guidata dal presidente in quanto comandante in capo delle forze armate.
I piani di spionaggio e di controllo operati segretamente dall’esercito su giornalisti e politici dell’opposizione, e scoperti all’inizio del 2020, hanno avuto un’eco internazionale. Recentemente, il rappresentante statunitense Jim McGovern ha presentato un progetto di legge per porre delle condizioni agli aiuti finanziari destinati da Washington alla Colombia, a causa dei controlli illeciti messi in atto. E la rappresentante dei democratici statunitensi Alexandria Ocasio-Cortez ha presentato una mozione affinché il governo di Donald Trump blocchi il finanziamento del dipartimento della difesa per la fumigazione aerea delle piantagioni di coca in Colombia “a meno che il governo colombiano non dia prova di stare agendo nel rispetto delle leggi nazionali e locali”.
Declino in tre fasi
Per il senatore colombiano Roy Barreras – che lo scorso novembre ha denunciato l’esercito per aver occultato la morte di otto minorenni in un bombardamento contro i guerriglieri dissidenti, spingendo alle dimissioni l’allora ministro della difesa Guillermo Botero – il peggioramento nelle forze armate è legato alla mancanza di una guida da parte del presidente, che le ha politicizzate e distolte dall’obiettivo di ottenere il controllo del territorio. “Le forze militari sono composte da mezzo milione di persone, sono apolitiche e non belligeranti. Non è quindi colpa dei militari se sono mal gestiti da un leader che li porta in guerra anziché verso la pace o da un capo di governo inetto che gli fa perdere il controllo del territorio. La responsabilità è del governo che non svolge bene il suo compito di guidarli”, ha dichiarato Barreras.
Nel corso del 2019 sono state denunciate esecuzioni sommarie e la militarizzazione della lotta contro il narcotraffico
Barreras afferma inoltre che il declino ha avuto luogo in tre fasi nell’arco degli ultimi due anni. La prima è stata quando Duque, una volta in carica, ha trovato dei vertici militari risalenti al governo di Juan Manuel Santos e in piena transizione dalla guerra alla pace. In un primo momento Duque li ha mantenuti in carica, ma poi “ha ceduto alle pressioni del suo partito”, il Centro democratico. La seconda fase, che il senatore individua tra il 2018 e il novembre 2019, consiste nel rafforzamento del potere di Duque realizzato nominando persone ritenute fedeli al governo ai vertici di comando, in modo tale “da ottenere il più importante e forse il peggiore effetto del governo sulle forze armate, ossia la loro politicizzazione attraverso un’ideologia che inneggia alla guerra”.
Restrepo, invece, non ritiene che ci sia una politicizzazione, ma piuttosto una revisione delle regole e della mentalità, con un conseguente “balzo indietro di almeno ventidue anni rispetto ai progressi fatti nelle politiche di sicurezza dell’esercito”.
Perdita del territorio
Nel corso del 2019, come documentato da diversi mezzi di informazione, sono state denunciate esecuzioni sommarie e la militarizzazione della lotta contro il narcotraffico, che si è tradotta nel passaggio da un abbandono volontario della coltivazione illecita a una eradicazione obbligatoria delle piante di coca compiuta sotto gli ordini dei militari. “Ora che le Farc sono disarmate, i militari hanno bisogno di tornare alla logica del terrore interno ed esterno e stanno costruendo due fronti: uno internazionale, con il Venezuela e il governo ombra di Juan Guaidó opposto alla dittatura di Nicolás Maduro, e uno al livello nazionale, rinnegando l’accordo di pace per poter dire che la pace non è mai stata raggiunta e che la proliferazione di gruppi dissidenti ne è la prova. La profezia che si autoavvera”, prosegue Barreras. Così, secondo la sua tesi, si è giunti alla terza fase, che lui definisce quella della perdita del controllo territoriale.
Con le dimissioni del ministro della difesa Guillermo Botero e l’arrivo al suo posto di Carlos Holmes Trujillo, il governo ha annunciato riforme e indagini approfondite sulle denunce contro i militari. “Il messaggio è chiaro: tolleranza zero verso qualsiasi atto che vada contro la costituzione e la legge, in questo siamo irremovibili”, ha dichiarato l’attuale ministro.
José Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Human rights watch, spiega che il capo del governo “dopo il disarmo delle Farc aveva l’opportunità di ripensare il ruolo e la struttura delle forze armate secondo gli effettivi bisogni del paese. Invece, l’esecutivo ha proseguito sulla strada del modello tradizionale di forze armate – soprattutto per quanto riguarda le caratteristiche peggiori. Ha risposto a ogni crisi con un grande dispiegamento di forze, ma non è stato in grado di favorire il fiorire di iniziative di sviluppo a livello locale, né di rafforzare lo stato di diritto”.
Vivanco individua uno dei momenti più critici di questa fase nella promozione di alcuni ufficiali che “secondo prove molto attendibili, sarebbero associati ai cosiddetti falsos positivos (militari coinvolti in esecuzioni extragiudiziali); tra questi c’è il comandante dell’esercito Nicacio Martínez, che non appena riavuta la carica ha rimesso in piedi alcune delle politiche di sicurezza che un decennio fa portarono all’uccisione a sangue freddo di migliaia di civili”.
Le prospettive di cambiamento non sono rosee. “Il governo ha l’opportunità di ripensare la sua politica di sicurezza, anche se in realtà temo che non coglierà questa opportunità e continuerà sulla stessa rotta. In altre parole, ancora violenza che fa male alla politica, soprattutto al livello territoriale, e una graduale riduzione della sicurezza al livello urbano”, conclude Restrepo.
(Traduzione di Mariachiara Benini)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano spagnolo El País.
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