“Da Beirut al Cairo, le comunità lgbtq del mondo arabo sono in lutto dopo l’annuncio della morte di Sarah Hegazi, una delle più note attiviste per i diritti degli omosessuali in Egitto”, scrive il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour ricordando la morte della trentenne, che si è suicidata il 14 giugno nella sua casa a Toronto, in Canada, paese dove viveva dal 2018 e dove aveva chiesto l’asilo politico. “Hegazi, che soffriva di depressione, si è suicidata lasciando una nota: ‘Ai miei fratelli e sorelle, ho cercato di sopravvivere ma ho fallito; perdonatemi. Ai miei amici, il viaggio è stato crudele e sono troppo debole per resistere, perdonatemi. Al mondo, sei stato di una crudeltà indicibile, ma ti perdono’”.
Sui social network si sono moltiplicati i messaggi di solidarietà accompagnati dall’hashtag #RaiseTheFlagForSarah (alza la bandiera per Sarah) e dalla foto che le è costata la prigione: quella di una Sarah Hegazi sorridente che mostra una bandiera arcobaleno al concerto del gruppo libanese Mashrou’ Leila, il 22 settembre 2017 al Cairo.
Un silenzio assordante
“Per quel gesto è stata arrestata a casa sua una settimana dopo, nel corso di un giro di vite che per tutto il mese successivo ha colpito decine di militanti. Hegazi è stata accusata di far parte di un’organizzazione illegale e di promuovere il ‘pensiero deviante’”, ricorda il giornale libanese. Il suo caso è finito sulle prime pagine dei mezzi d’informazione egiziani, ed Hegazi è diventata per i leader religiosi un esempio negativo di promozione di valori “immorali”, contrari all’islam. L’attivista è rimasta in carcere fino al gennaio del 2018, dove ha subìto abusi e molestie sessuali.
Hegazi non ha mai superato il trauma. Lo ha confessato in un articolo per il sito indipendente Mada Masr nel 2018, in cui ha parlato del fatto di essere stata sottoposta a elettrocuzione, ad aggressioni sessuali verbali e fisiche da parte di altre carcerate su incitamento degli agenti penitenziari e di essere rimasta in isolamento per giorni. “Anche dopo il mio rilascio, avevo ancora paura di tutti, della mia famiglia, degli amici e della strada. La paura ha preso il comando”, ha scritto Hegazi.
because this is how she would like to be remembered. All the power to the oppressed. %3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/RaiseTheFlagForSarah?src=hash&ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E#RaiseTheFlagForSarah%3C/a%3E %3Ca href=%22https://t.co/loe6odG75x%22%3Epic.twitter.com/loe6odG75x%3C/a%3E
— Amr Magdi (@ganobi) ?
Lo scrittore libanese iracheno Saleem Haddad, l’autore di Guapa, un romanzo che parla di amicizia tra gay in un paese arabo immaginario, ha scritto con amarezza su Facebook: “Ai miei amici arabi etero che mi seguono qui: il vostro silenzio sul suicidio di Sarah Hegazy dice molto. Siete parte del problema. Il vostro silenzio, la vostra vigliaccheria, è ciò che ha allontanato molti di noi dalle nostre case, dalle nostre famiglie, dalle nostre società. Il vostro silenzio ha l’odore del sangue”.
Anche il cantante dei Mashrou’ Leila Hamed Sinno, dichiaratamente gay, ha commentato con parole molto dure la morte di Hegazi: “Una volta, illuso dal mio ottimismo, credevo onestamente che la musica potesse cambiare il mondo. Pensavo che gli altri avrebbero capito che sono umano. Che siamo umani. Ci sono riuscito abbastanza a lungo e ho cominciato a crederci, e così hanno fatto gli altri, e hanno sofferto per questo. […] Al mio giovane fan lgbtq dico: sei una creatura di Dio, quanto chiunque altro. Tu sei perfetto. Sei bello. Sei amato. Meriti di più. A tutti gli altri, vi lascio con le ultime parole di Sarah: ‘Il cielo è più dolce della Terra e ho bisogno del cielo, non della Terra’”.
Sara and Ahmed are revolutionaries: two gay %3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/Egyptians?src=hash&ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E#Egyptians%3C/a%3E who said %E2%80%9CI count. I exist.%E2%80%9D They were jailed for raising a rainbow pride flag at a %3Ca href=%22https://twitter.com/mashrou3leila?ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E@mashrou3leila%3C/a%3E concert in %3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/Egypt?src=hash&ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E#Egypt%3C/a%3E in 2017 and now live in asylum in %3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/Canada?src=hash&ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E#Canada%3C/a%3E. And have no regrets. %3Ca href=%22https://t.co/smG5WrJogi%22%3Epic.twitter.com/smG5WrJogi%3C/a%3E %3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/LGBTQ?src=hash&ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E#LGBTQ%3C/a%3E %EF%B8%8F%E2%80%8D
— Mona Eltahawy (@monaeltahawy) ?
In un tweet del 2018 la giornalista egiziana Mona Eltahawi scriveva: “Sarah e Ahmed sono rivoluzionari. Due egiziani gay che hanno detto: ‘Io valgo. Io esisto’. Sono stati imprigionati nel 2017 dopo aver sventolato la bandiera arcobaleno a un concerto dei Mashrou’ Leila in Egitto e ora vivono in Canada. Senza rimpianti”.
In Egitto l’omosessualità non è vietata per legge ma le autorità fanno ricorso a varie norme per condannare chi adotta comportamenti definiti “devianti”, “immorali” o “contro natura”. Amnesty international ha accusato il governo del Cairo di aver “oppresso” e aver causato a Hegazi sofferenze tali da spingerla al suicidio. Nel corso degli ultimi anni diversi rapporti di ong hanno documentato le pratiche adottate dalle autorità egiziane nella repressione dei comportamenti omosessuali, che includono violenze, stupri, umiliazioni collettive. Molti degli arrestati sono sottoposti a ispezioni anali sotto costrizione, che sono considerati una forma di tortura dalla giurisprudenza internazionale.
“Lo scorso febbraio, sette organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto all’Unione europea di adottare una serie di misure concrete come risposta alla crisi dei diritti umani in Egitto”, si legge in un comunicato di Human rights watch del 16 giugno 2020, che denuncia l’accordo tra l’Italia e l’Egitto sulla vendita di armi. “L’accordo è stato concluso mentre l’opinione pubblica italiana è ancora scossa in seguito al recente arresto, detenzione e presunta tortura al Cairo di Patrick Zaki, ricercatore egiziano iscritto all’università di Bologna. Il caso ha ricordato a molti quello di Giulio Regeni”.
La morte di Sarah Hegazi è solo l’ultimo degli abusi commessi da un regime che dal 2013 ha adottato la politica del pugno di ferro e limitato la libertà dei suoi cittadini.
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