Il sisma del 6 febbraio , di magnitudo 7,8 sulla scala Richter, ha colpito il sud della Turchia e il nord della Siria causando migliaia di vittime. È stato seguito da un’altra scossa di magnitudo 7,5. Il bilancio continua ad aggravarsi, all’ora di pranzo di mercoledì 8 febbraio i morti erano già più di undicimila, ma probabilmente il numero crescerà ancora anche perché in molte zone colpite dal sisma, soprattutto in Siria, i soccorsi sono lenti e complicati. Al sisma è dedicata la prossima copertina di Internazionale, in edicola dal 10 febbraio con reportage e analisi. Un avvenimento così catastrofico avrà sicuramente conseguenze a lungo termine su un territorio come quello siriano, già devastato da dodici anni di guerra civile: nei prossimi giorni si valuteranno i danni e si delineeranno i contorni dell’emergenza umanitaria.
I luoghi
È stata colpita in particolare l’area nordoccidentale della Siria, al confine con la Turchia. Qui si trova la regione di Idlib, l’ultima roccaforte dei ribelli in Siria, controllata da gruppi islamisti siriani sostenuti dalla Turchia. Ci vivono circa quattro milioni e mezzo di persone, metà delle quali sono sfollate da altre zone del paese a causa del conflitto. Molte vivono già in condizioni precarie, in campi profughi o in edifici abbandonati. Sono state colpite anche zone controllate dai curdi nel nordest della Siria e altre controllate dal regime, come quella intorno alla città di Aleppo, la seconda città siriana. Sei anni fa Aleppo è stata il bersaglio di una terribile offensiva russo-siriana, che l’ha riportata sotto il controllo del governo, lasciandola in gran parte distrutta.
Le condizioni
Anche se negli ultimi anni il regime di Assad ha ripreso il controllo di gran parte della Siria, il conflitto è tutt’altro che risolto e le tensioni restano alte. Il paese affronta una dura crisi economica, con i prezzi dei generi di prima necessità alle stelle e la moneta fortemente svalutata. Le infrastrutture distrutte dalla guerra in gran parte non sono ancora state ricostruite. Molti ospedali e centri sanitari sono stati bersaglio degli attacchi russi e siriani e non sono più operativi. Per questo nei mesi scorsi si era diffusa un’epidemia di colera in tutto il paese. Il problema dell’assenza di un sistema sanitario è risultato evidente fin dalle prime ore dopo il sisma, perché mancano le squadre di soccorso per scavare tra la macerie in cerca di sopravvissuti, non ci sono le attrezzature e a prestare i primi aiuti sono stati i Caschi bianchi, un gruppo di volontari nato durante la guerra civile per aiutare i feriti. A complicare le cose c’è anche il freddo: in questo periodo le temperature scendono sotto zero, ci sono pioggia e neve. Inoltre il carburante scarseggia a livello nazionale, questo significa che già prima del sisma le persone non sapevano come riscaldarsi.
Gli aiuti
I vertici del regime siriano sono colpiti da sanzioni internazionali e il paese resta isolato sulla scena mondiale. La prima a proporre il suo sostegno all’alleato siriano è stata la Russia e anche altri stati della regione si sono fatti avanti, per esempio gli Emirati Arabi Uniti, che hanno promesso 13 milioni di dollari alla Siria. Si sono attivate le ong locali e internazionali che già operano nella zona. Ma il problema è che già prima del sisma diverse agenzie dell’Onu, come il Programma alimentare mondiale (Pam), avevano avvertito che l’aiuto umanitario destinato alla Siria era insufficiente, mentre le necessità della popolazione continuavano a crescere.
Il territorio del nordest della Siria è uno dei più difficili da raggiungere. A causa delle pressioni della Russia sul Consiglio di sicurezza dell’Onu, esiste solo un valico di frontiera attraverso il quale possono passare i convogli umanitari dell’Onu, quello di Bab al Hawa, che è stato anche danneggiato nel terremoto. Ma si può passare solo con il consenso di Assad, che denuncia una violazione della sovranità nazionale e rivendica la gestione degli aiuti. Il rischio è che questo passaggio sia congestionato dal flusso di materiali necessari alla popolazione, tuttavia gli esperti dubitano che gli altri tre valichi di frontiera esistenti saranno riaperti. L’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite ha assicurato che gli aiuti raggiungeranno le persone che ne hanno bisogno su tutto il territorio, ma ha posto come condizione il transito all’interno della Siria, nel territorio controllato dal regime. È probabile che la Turchia, che considera i curdi come nemici, ostacolerà l’arrivo degli aiuti nei territori colpiti dal sisma sotto il loro controllo. In queste zone gli aiuti potranno arrivare solo dal Kurdistan iracheno o attraverso il regime di Damasco.
Geopolitica
Come commenta un articolo di El País, “attraverso il terremoto sembra riprodursi lo schema di alleanze della guerra siriana”. Il rischio è che le varie fazioni in Siria e i loro alleati internazionali sfruttino questo disastro per i loro interessi militari, politici e strategici. Resta da vedere quale potrà essere il ruolo degli Stati Uniti, alleati dei curdi in Siria, e come reagirà la Turchia, che da mesi minaccia un’invasione nel nord della Siria, vuole allontanare i profughi siriani dal suo territorio e a maggio affronta le elezioni presidenziali e parlamentari. Tutto questo mentre dovrà fare i conti con le sue macerie.
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